La Cassazione dice basta alle critiche maschiliste e discriminatorie verso le donne: la quinta sezione penale della Suprema Corte ha confermato la condanna di un cronista e di un sindacalista per diffamazione a mezzo stampa nei confronti della direttrice del penitenziario di Arienzo: al centro del processo, un articolo pubblicato il 14 giugno del 2002 sul Corriere di Caserta, dal titolo “Carcere, per dirigerlo serve un uomo”.
Sul quotidiano erano riportati anche dei virgolettati di un’intervista telefonica al sindacalista, con cui si dichiarava che “sarebbe meglio una gestione al maschile”.
Entrambi gli imputati, condannati sia in primo che in secondo grado dai giudici di Salerno, si erano difesi invocando l’uno l’esimente del diritto di cronaca, l’altro quella del diritto di critica sindacale.
La Cassazione, però, ha rigettato i loro ricorsi, condividendo in toto le motivazioni dei giudici del merito, secondo i quali “la frase ‘sarebbe meglio una gestione al maschile’ è oggettivamente diffamatoria ed è da sola idonea ad affermare la responsabilità sia dell’intervistato che dell’intervistatore”.
Tale dichiarazione, si legge ancora nella sentenza n.10164 “è certamente lesiva della reputazione” della direttrice del carcere, “trattandosi di un suggerimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti e che costituisce una mera valutazione, ripresa a caratteri cubitali nel titolo, nel quale si puntualizza proprio la necessità – sottolineata dal verbo servire – di affidare la direzione del carcere comunque ad un uomo”.
Per questo, la motivazione dei giudici d’appello è immune “da vizi logici”, dato che la censura mossa alla persona offesa “è sganciata da ogni dato gestionale ed è riferita al solo fatto di essere una donna – rileva la Cassazione, citando la sentenza di secondo grado – gratuito apprezzamento, contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell’appartenenza all’uno o all’altro sesso”.
Il cronista è stato condannato a pagare una multa di 1.500 euro, il sindacalista a versare 700 euro; entrambi dovranno risarcire la persona offesa con oltre 10 mila euro.
“Il pronunciamento della Suprema Corte che mette uno stop alle critiche di ‘genere’ mi trova del tutto d’accordo”, ha dichiarato il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna.
“Ritengo – ha aggiunto – che si tratti di un necessario passo avanti per arrivare alla ‘tolleranza zero’ nei confronti delle discriminazioni. Negli ultimi anni, sicuramente c’è stato un consistente miglioramento della condizione femminile, tuttavia, ancora oggi, ci troviamo di fronte, quotidianamente, ad episodi di discriminazione.
La sentenza sarà un utile strumento per sradicare il persistente pregiudizio e la supponenza, fatta di inopportune ‘battutine’, sulle donne.
Le donne, infatti, hanno dimostrato e dimostrano ogni giorno di essere esattamente come gli uomini nel mondo lavoro, se non, spesso, più competenti e produttive.
È giusto, dunque, che atteggiamenti di questo genere – ha concluso la Carfagna – siano puniti severamente con la pena prevista per il reato di diffamazione”.