La battuta di Renzi – Fassina chi? – non è nuova, ricalca quella pronunciata qualche anno fa – “Michele chi? Alludendo a Michele Santoro – ma è canzonatoria e anche un po’ offensiva, sia perché detta dal neo segretario del Pd, sia perché pronunciata in una conferenza stampa in tv al termine della riunione di segretaria del maggior partito italiano, sia perché rivolta al vice ministro dell’Economia.
Il punto è se Renzi ha fatto una semplice, ancorché inopportuna, gaffe oppure se celava qualche intento polemico. Renzi, insomma, “è un battutista”, secondo il giudizio di Bersani, per cui gli è scappato ciò che non doveva dire, oppure sotto forma di una battuta ha voluto dare un giudizio politicamente negativo su Stefano Fassina?
Renzi, si sa, ha risposte facili, pronte e spesso pungenti. Ne sa qualcosa Quagliariello, il più bersagliato, ma un leader come lui non dice parole a caso. Lo si sta vedendo a proposito dei temi che dovranno far parte del nuovo “contratto di governo”. Non ha aspettato la fine delle festività natalizie per dire ciò che vuole fare. Ha scritto ai gruppi parlamentari di tutti i partiti e ha presentato una serie di punti programmatici da realizzare entro un anno. Si tratta, tra parentesi, di temi concreti che, se diventeranno leggi dello Stato, saranno utili all’Italia, anche se non basta dire di voler riformare il mercato del lavoro per avere più occupati. Bisogna giudicare le riforme dal merito, cioè dai risultati.
Di fronte alla battuta di Renzi, Stefano Fassina ha presentato al premier Letta le dimissioni “irrevocabili”, motivandole con una serie di giudizi tipo “ha un’idea padronale del partito”, “si è superato il segno” e, rivolto a Enrico Letta, “da settimane non fate che minimizzare gli attacchi di Renzi”. Non è dunque, quella di Renzi, una battuta ma uno scontro politico su una diversa visione politica, avvalorata da Fassina stesso e da altri, Letta compreso. Mario Mauro, ministro della Difesa, ha detto ad alta voce ciò che Letta, in qualità di presidente del Consiglio, non ha potuto dire: “Non è vero che il segretario del Pd sia disposto ad accordarsi anche con il diavolo pur di avere una nuova legge elettorale. Lui è disposto ad accordarsi anche con il diavolo pur di avere una nuova campagna elettorale. Lui vuole la testa di Letta”.
Sistemato un fibrillatore di maggioranza (“Senza Berlusconi la maggioranza è più ristretta ma più coesa”, dicevano Alfano e Letta) il premier sta facendo i conti con un altro fibrillatore di maggioranza, più temibile del primo, sia perché più forte, sia perché proviene dal partito maggioritario, sia perché ha un interesse tattico a rafforzare l’Esecutivo con un “contratto di governo”, sia perché – ed è questo il punto – ha un interesse strategico a far ricadere la colpa sul governo e ad andare poi alle elezioni appena possibile.
Su cosa si fonda questa tesi, tra l’altro molto diffusa? Sui seguenti punti. In primo luogo, più passa il tempo e più Renzi potrebbe perdere la fama di innovatore che si è guadagnato dalla comoda posizione di chi deve conquistare degli obiettivi. Insomma, potrebbe essere logorato. In secondo luogo, Renzi ha vinto le primarie dell’elettorato del Pd, ma buona parte dell’apparato lo considera un “estraneo”. Non solo: i gruppi parlamentari non sono tutti con lui. Finora ha conquistato i vertici del Pd, ma non basta. L’unico modo per conquistare tutto il partito è andare alle elezioni, far eleggere parlamentari a lui fedeli e modellare il partito secondo la sua visione, da presidente del Consiglio.
La strategia è intelligente e ambiziosa ma l’unico modo per renderla concreta è che cada il governo – di qui le continue stilettate per creare fibrillazione e un casus belli – per andare alle elezioni, vincerle e realizzare così i suoi obiettivi, che evidentemente non sono quelli di Letta e di tanti nel Pd stesso, i quali, c’è da scommettere, dopo il trattamento di Fassina non se ne resteranno con le mani in mano.