Pensata come una retrospettiva a scala ridotta, la mostra espone le opere che vanno dalle sue prime ceramiche degli anni ’50 ai rilievi tattili, dalle strutture elettromeccaniche alle sculture luminose fino agli ambienti percorribili e deformati
Monica De Cardenas è lieta di annunciare un’importante retrospettiva dedicata all’opera di Gianni Colombo (1937- 1993) presso la propria sede di Zuoz, in un momento di grande riscoperta internazionale dell’artista milanese. Come ha affermato recentemente Olafur Eliasson a proposito di Colombo: “oggi la grande rilevanza e l’importanza del suo lavoro” non sta tanto nei suoi “risultati formali” quanto “sulle conseguenze” o gli effetti che esso è in grado di produrre. Di fatto, più che un catalogo di forme o una collezione di oggetti di carattere minimalista, Colombo ha prodotto negli anni una notevole raccolta di dispositivi: macchine percettive, congegni intermutabili, campi di forze. Opere, cioè, che si impongono per il loro funzionamento piuttosto che per il regime di segni che mettono in scena. La precedenza della natura performativa su quella rappresentativa, che è al centro delle opere di Gianni Colombo, definisce il carattere singolare e anticipatore della sua intera ricerca.
Tra i protagonisti dell’arte cinetica internazionale e, successivamente, tra i maggiori esponenti della tendenza ambientale, Colombo coniuga la ricerca spaziale di Fontana con una matrice surrealista originaria che, nella mutabilità e nel movimento, introduce sorpresa e straniamento. Al centro del suo lavoro c’è lo spettatore: tanto la sua partecipazione diretta quanto il suo coinvolgimento psichico. Dunque, non solo lo spettatore inteso come statuto teorico, secondo l’accezione di Duchamp, bensì lo spettatore concreto, nella sua realtà fisica e sensoriale. I monocromi bianchi e pulsanti di Colombo, oppure quelli ruotanti, così come gli ambienti luminosi e quelli architettonici, decostruiscono continuamente le attitudini percettive e comportamentali del soggetto che è chiamato a interagire con essi.
La mostra di Zuoz è pensata come una retrospettiva a scala ridotta. Tutte le tipologie di opere che hanno accompagnato la produzione di Colombo compaiono per campioni essenziali: dalle prime ceramiche degli anni ’50 (Intermutabile) ai rilievi tattili manipolabili (In-Out), dalle strutture ad animazione elettromeccanica (Strutturazione Pulsante) alle sculture luminose (Cromostruttura) fino agli ambienti percorribili e deformati, ai cubi metallici sospesi e agli ‘spazi curvi’ degli anni ’90. Il percorso espositivo inizia con un nucleo di opere centrali nella sua produzione degli anni ’70: la grande scultura nera Bariestesia, ambientale e percorribile, che sfida gli stati di equilibrio del corpo; assieme ad essa sono esposti i coevi Spazio Elastico neri su legno, in cui lo spettatore può spostare a piacere i fili elastici bianchi della superficie del quadro, dando origine ogni volta a pattern diversi. Una sala, infine, è dedicata alle sculture luminose con le caleidoscopiche Cromostruttura e le 0-220 Volt che modulano l’intensità luminosa.
Molte sono le opere in mostra che portano il titolo Spazio Elastico, pur nelle differenti fenomenologie che negli anni hanno assunto. Questo comun denominatore sottolinea uno dei principali concetti che Colombo ha condiviso con Lygia Clark: l’elasticità come sfida alla rigidità e alla gravità. Cioè, una continua destituzione dello spazio e delle sue rappresentazioni.
Gianni Colombo nel 1959 fonda il Gruppo T a Milano assieme a Giovanni Anceschi, Gabriele De Vecchi, Davide Boriani e Grazia Varisco con cui partecipa al movimento dell’Arte Programmatica e di Nouvelle Tendance. Partecipa alle mostre capitali degli anni ’60 da Bewogen Beweing (Stedelijk Museum 1961) a Lo Spazio dell’Immagine (1967) e Vitalità del Negativo (1970). Nel 1968 è invitato alla Biennale di Venezia e a Documenta 4. Recentemente i suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Sydney (2008) e alla Biennale di Venezia (2011). Nel 2009 il Castello di Rivoli ha dedicato a Gianni Colombo una grande retrospettiva.
Fino al 7 febbraio
GALLERIA MONICA DE CARDENAS
Zuoz
via Maistra, 41 (Chesa Albertini)