Un rapporto della banca inglese Hsbc sulle stime dei danni subìti dai sette Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa in seguito alle rivolte iniziate nel 2011
La banca inglese Hsbc ha calcolato la stima dei danni provocati dalle “primavere arabe” dal 2011 alla fine del 2014. Si tratta di un costo salatissimo, circa 800 miliardi di dollari. I Paesi presi in considerazione sono l’Egitto, la Tunisia, la Libia, la Siria, la Giardania, il Libano e il Bahrein. Nel rapporto della banca le parole sono inequivocabili: “Quasi tre anni dopo, il costo economico e umano della primavera araba continua ad aumentare. Negli Stati post rivoluzionari l’impatto è evidente: il valore delle perdite sarà superiore a 800 miliardi di dollari entro la fine del prossimo anno”. L’Hsbc ha stimato che il Prodotto interno lordo (Pil) dei sette Paesi presi in considerazione crollerà del 35% rispetto alle previsioni se la primavera araba non fosse mai scoppiata. Insomma, al posto di essere positiva, la “primavera araba” è stata un disastro, non solo dal punto di vista economico e delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini, ma anche dal punto di vista politico, perché non c’è nessun miglioramento, nemmeno in termini di libertà e di democrazia.
L’Egitto è il Paese più colpito, anche perché è il più grande. La crescita sarà del 2,2%, un punto in meno rispetto al 2012. La Libia addirittura non esiste più come Paese unitario, ma è una rete di gruppuscoli che si combattono tra di loro. Al tempo di Gheddafi la produzione di petrolio era di un milione e 600 mila barili di greggio al giorno, oggi è appena di 6-700 mila, al punto che si teme che non si riesca nemmeno a coprire il budget nazionale. La Siria, dopo due anni e mezzo di guerra civile, ha vanificato la crescita che c’era stata dal 2000 in poi. Ecco un altro passaggio del rapporto: “La combinazione di un grave deterioramento fiscale e del declino nell’efficienza del governo, della sicurezza e dello Stato di diritto peseranno molto sull’impegno della politica, oltre che sul tentativo di riportare l’occupazione ai livelli precedenti le rivoluzioni”.
Ecco come ha commentato i dati un esperto come Sudeep Reddy sul Wall street Journal: “Circa il 25% dei giovani, uno su quattro, è disoccupato nell’età compresa tra i 15 e i 24 anni”. Il guaio è che i leader politici emersi durante e dopo le rivoluzioni difficilmente avranno il coraggio e la forza di realizzare le difficili e necessarie riforme che potrebbero far risalire la china, anche perché dette riforme produrranno sicuramente una diffusa protesta, essendo esse necessariamente dure da accettare.
Gli Usa nel 2012 hanno offerto 800 milioni di dollari per le perdite subite e per i danni, nonché per fare le “riforme economiche, commerciali e politiche di lungo termine”. 800 milioni offerti rispetto a 800 miliardi di danni è una sproporzione gigantesca, una goccia nel mare della miseria. Quest’anno, addirittura, gli Usa hanno ridotto gli aiuti di un terzo, per un totale di 580 milioni rispetto agli 800 dell’anno scorso.
Si tratta di un grosso smacco. Innanzitutto dei Paesi che hanno sostenuto l’intervento provocando i danni citati e che li vogliono ripagare con una miseria; in secondo luogo di coloro che hanno organizzato proteste e soprattutto che le hanno portate alle estreme conseguenze senza porsi il problema dei risultati, del resto assai prevedibili. Senza considerare le sofferenze umane e morali della carneficina e delle miserie e delle malattie che ne sono derivate con il crollo dello Stato.
La situazione descritta, come accennato, riguarda il periodo 2011-2014, ma non sono previsioni per eccesso, bensì per difetto. Bisogna tener conto che in Siria, per quanto la guerra stia conoscendo una fase di rallentamento, non è terminata, e che in Libia non si vedono spiragli positivi. In Egitto, poi, anche se la situazione sembra essere dominata dalle forze armate, l’opposizione dei Fratelli musulmani è ancora forte e soprattutto violenta e sanguinosa, per cui parlare di stabilità in questi Paesi significa confidare solo nel futuro.
Il rapporto dell’Hsbc, tuttavia, non menziona gli aiuti provenienti dai Paesi arabi del Medio Oriente, come gli Emirati, il Qatar ed altri, che si sono aggirati quest’anno a 12 miliardi di dollari, che non sono pochi ma solo qualche goccia rispetto agli 800 miliardi di danni causati.