L’ambito di vita con il maggior numero di casi segnalati è il posto di lavoro (95). Le vittime hanno riferito di insulti e comportamenti denigratori e irrispettosi da parte di colleghi o di disparità di trattamento da parte di superiori. Una studentessa, per esempio, ha chiesto aiuto a un consultorio perché durante il suo praticantato in una scuola elementare la direttrice dell’istituto si è rivolta a lei con aria sprezzante a causa del turbante che indossava, ha preteso che le facesse vedere la capigliatura, le ha chiesto se avesse problemi ai capelli e le ha consigliato di acconciarli diversamente. Dopo questo scontro, alla giovane è stato chiesto di interrompere il praticantato senza alcuna motivazione.
72 casi di consulenza hanno riguardato episodi di razzismo avvenuti nel vicinato e/o nel quartiere. Le restrizioni imposte alla vita pubblica per lottare contro la pandemia di COVID-19 hanno spostato gli episodi di discriminazione nella sfera privata, soprattutto nel vicinato. Per esempio, dopo aver traslocato in un nuovo appartamento, una famiglia di rifugiati riconosciuti è stata oggetto di vessazioni da parte di una vicina che ha più volte espresso commenti irrispettosi sulle persone di fede musulmana, inveito contro i bambini nella tromba delle scale e ripetutamente importunato la famiglia lamentandosi per rumori inesistenti e chiamando senza motivo la polizia. Su richiesta della famiglia, il consultorio ha informato per scritto la donna in merito alle fattispecie contemplate dalla norma penale contro la discriminazione razziale. Questo intervento ha portato a un miglioramento della situazione. Il movente di discriminazione indicato più spesso è la xenofobia (304 casi), seguita dal razzismo nei confronti dei neri (206) e dall’ostilità verso i musulmani (55). In un caso su quattro i consultori hanno riscontrato una discriminazione multipla in cui alla discriminazione razziale si aggiungeva perlopiù la discriminazione dovuta allo status giuridico, al genere o alla posizione sociale.
DFI