Dal sud al nord del mondo: Dallas, Dacca, Fermo
Dallas, Dacca, Fermo: tre momenti, tre mondi, tre storie, tre racconti per un pianeta a cui l’intelligenza umana ha dato la possibilità di incontrarsi e conoscersi senza indicare la via al cui ingresso campeggiano le parole destinate (nei decenni, nei secoli, nei millenni che verranno: Dio solo lo sa) a cambiare la storia dell’umanità: fratellanza, solidarietà e amore.
Dallas: la polizia arresta un uomo di colore.
Succede ogni giorno in una qualsiasi città del profondo sud degli Stati Uniti d’America.
E accade spesso che il nero, colpevole a prescindere, venga abbattuto da una pallottola del poliziotto mentre è a terra, indifeso e arreso.
È sempre accaduto e sempre accadrà. Sino a quando quel grande popolo, per tanti versi all’avanguardia in tanti campi dell’attività umana, non si sarà liberato del razzismo che ammorba la società americana da secoli e persino oltre le straordinarie battaglie per i diritti civili condotte negli anni sessanta da Martin Luther King.
Oggi la notizia fa più scalpore poiché alla testa degli Stati Uniti sta Barack Obama, un nero come le vittime.
O forse, è proprio per quello.
La morte violenta per mano della polizia, un tempo ignorata e isolata, per paura, nella cronaca nera, assurge a notizia di interesse nazionale.
Anche perché, nel frattempo, le grandi dimostrazioni di massa per rivendicare giustizia, rispetto dei diritti umani, pari dignità, vengono macchiate dall’ eccidio di cinque poliziotti ad opera di un veterano di colore, reduce dall’Afghanistan, nel segno di una sanguinaria vendetta e di giustizia per se e per il suo popolo.
Una spirale di violenza senza fine e senza prospettive. Dacca: capitale di un nuovo stato di 150 milioni di persone, funestato dagli estesi acquitrini nelle foci dei grandi fiumi e violentato, annualmente, dalle piogge torrenziali dei monsoni. Dacca, nessuno o pochi sapevano indicare la posizione sull’atlante sino a quando la globalizzazione non scoprì il vitello d’oro: milioni di poveri da utilizzare negli opifici delocalizzati per sfuggire alle regole del diritto del lavoro. Poche taka ( la moneta locale) per dieci, dodici ore di massacrante lavoro. Lavoratrici avvinte a quelle macchine come l’ape regina al miele, per produrre i tessuti destinati ai mercati occidentali. A sera il mondo degli affari si ritrova nel solito ristorante di qualità della capitale: per una nuova conoscenza, un affare da concludere o quant’altro. Entrano in azione, ammorbati dall’odio indotto dal fondamentalismo omicida jihadista dell’IS, gli insospettabili. I ricchi rampolli della nuova borghesia locale che hanno studiato, spesso, nelle migliori università in occidente.
È una strage. Venti le vittime, tra le quali, nove italiani. Colpiscono a freddo ma con supremo raziocinio. Cadono i cristiani ( gli infedeli). Si salvano gli avventori di fede musulmana, salvo uno: viene invitato ad uscire dal locale ma si rifiuta di abbandonare i compagni. Cade colpito da una raffica. Amico dei cristiani. Merita di morire. Come i nostri imprenditori da anni in Bangladesh o come Claudio e Giovanni, impegnati nel volontariato per la cura delle donne sfregiate dall’acido e dalle piaghe del duro lavoro quotidiano. Fermo: Emmanuel e sua moglie Chimiary, sopravvissuti al terrore jihadista di Boko Haram in Nigeria, la repubblica africana dilaniata da lotte interreligiose e fratricide.
Se ne andarono, i due giovani, attraversando il deserto del Sahara infestato dai carovanieri della morte, per approdare, sopravvivendo alle mille insidie del cammino, sul suolo italico. Raggiunta la meta, in un giorno qualunque incappano nel solito – più che razzista, malvagio – violento.
Un insulto alla moglie: scimmia nera. La reazione. La violenza. L’inferire sulla vittima a terra. Il cranio fracassato. La fine. Scene quotidiane di un film che non ha fine. Ieri Parigi e Colonia. Oggi Dallas, Dacca e Fermo. Domani, chissà?
Che si tratti di odio religioso e razziale. O di violenza contro le donne e i loro diritti, persino calpestati e ammessi in tante parti del mondo, l’immagine non cambia.
Patologie di una umanità che ha smarrito il senso di appartenenza e del vivere comune.
Quelli vecchi hanno fallito. Attendiamo i nuovi profeti.
Per indicarci il cammino di una nuova e umana fratellanza universale.
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