Affluenza in netto calo alle amministrative che vedono la sconfitta del Pdl e un’emorragia di consensi al M5S di Grillo, mentre il centrosinistra conquista 5 capoluoghi ed è in netto vantaggio dappertutto e in particolare a Roma
La procedura Ue d’infrazione nei confronti degli Stati membri che hanno un deficit eccessivo non riguarderà l’Italia, che rispetta il 3% stabilito, ma ciò non vuol dire che il nostro Paese stia bene. Tutt’altro. Anzi, è come quel soldato che è riuscito a rimanere in vita, ma non si può muovere perché paralizzato. Ecco perché, dopo un’approfondita consultazione tra Letta, Alfano e Saccomanni, ministro dell’Economia, è partita la lettera diretta al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.
Già il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, aveva lanciato giorni prima l’allarme sulla disoccupazione e in particolare su quella giovanile, arrivata ad essere il 41% di quella totale. Squinzi aveva usato toni molto forti, aveva parlato di una o due generazioni perse, dunque bisognava darsi da fare con urgenza. Il premier Letta, dunque, nella lettera all’Europa, ha giudicato “positiva” la decisione del Consiglio europeo di stanziare 6 miliardi per l’occupazione giovanile per il periodo 2014-2020, ma ha anche detto che 6 miliardi sono un primo passo, ma non è “sufficiente”. “Senza misure straordinarie e mirate”, ha scritto Letta, “la disoccupazione può diventare strutturale”, dunque “troviamo soluzioni per evitare di alimentare sentimenti di rabbia e frustrazione”. Il punto, infatti, è come finanziare una serie di provvedimenti che sono il risultato delle proposte elettorali sia del Pd che del Pdl, seppure con accenti diversi e differenze su questo o quel punto. Si parla di detassazione delle assunzioni, di riduzione quindi del costo del lavoro, di semplificazione della burocrazia, di bloccare l’aumento dell’Iva previsto in giugno da Monti ma il problema è di trovare le risorse necessarie per la copertura di provvedimenti comunque costosi, al punto che l’aumento dell’Iva sarà inevitabile.
Giugno sarà un mese cruciale, sia per l’elaborazione di misure per la crescita, sia per le scelte europee al Consiglio previsto per la fine del mese. Purtroppo l’Italia paga scelte sbagliate compiute negli ultimi trent’anni, secondo il giudizio di Squinzi, e anche per le indecisioni, i contrasti, gli sprechi. Un esempio di sprechi è la vicenda del Ponte sullo Stretto, voluto da Berlusconi, bloccato da Prodi, riproposto di nuovo da Berlusconi nel 2008 e poi bloccato definitivamente da Monti l’anno scorso, con la nomina del commissario liquidatore nella persona di Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto del ministero dell’Economia. Il guaio è che il prezzo del no definitivo alla costruzione del Ponte sarà di oltre un miliardo: 383 milioni spesi per il progetto e oltre 700 milioni (più gl’interessi) a Impregilo per risarcimenti. Spendere un miliardo per non fare nulla fa parte delle assurdità della politica italiana.
La politica, comunque, si dibatte tra le possibili soluzioni a problemi economici che il governo individuerà a breve in maniera coordinata, con risparmi sui costi della politica, compresa l’abolizione delle province, che il ministro Delrio è intenzionato a realizzare entro il 2014 (“Nel 2014 le province non ci saranno più. Rispetteremo questo impegno”) e la polemica spicciola e di retroguardia che partiti e singoli esponenti alimentano quotidianamente. Tanto per accennarne una: quella tra Grillo e il M5S che insultano tutti con nomignoli da bar Sport (l’ultimo a Renzi, definito “Renzie”, dal suo atteggiarsi a Fonzie, anche nel modo di vestire in una trasmissione tv) e le reazioni dello stesso Renzi che ha pubblicamente denunciato l’inconsistenza del M5S che fa politica discutendo per mesi della diaria dei suoi parlamentari da trattenere o da versare e degli scontrini da presentare. Proposte? Nessuna da parte di Grillo, eccettuata quella della raccolta di firme per un referendum sull’Europa e sull’euro. Lo stesso Grillo, però, appena lanciata l’idea del referendum aggiunge subito che lui è per l’Europa, per cui uno si chiede: ma perché lanciare un referendum sull’Europa se poi si dice che si è per l’Europa? Misteri della demagogia.
Dal voto amministrativo di domenica e lunedì scorsi è emerso un segnale positivo per il centrosinistra e per il Pd, che ha mantenuto le sue posizioni e nel caso di Roma ha recuperato fino a raggiungere il 42,6% distanziando di più di 12 punti il sindaco uscente Alemanno, già battuto sulla carta anche al secondo turno nonostante lui consideri “ancora aperta la partita”. La sconfitta del Pdl prevista e prevedibile è sopraggiunta puntuale. E’ vero che nei Comuni di gran parte delle città si va al ballottaggio (tranne cinque, già al centrosinistra al primo turno), ma il Pdl, ad eccezione di Brescia dove è pari con il candidato del centrosinistra, ci va spesso distanziato in maniera irrimediabile. Alle regionali della Valle d’Aosta si sono riconfermati gli autonomisti dell’Union Valdotaine, della Fédération autonomiste e della Stella Alpina con 18 seggi, seguiti dal centrosinistra con 15 e dal M5S con due seggi. Il Pdl è rimasto a secco. Se il Pdl e il centrodestra possono invocare come scusante il tradizionale divario tra il voto amministrativo e quello politico nazionale (che conferma che il centrodestra si regge su Berlusconi), la sconfitta del M5S non solo è netta, ma è di tipo politico, nel senso che un buon terzo di chi ha votato alle politiche il M5S, gli ha voltato le spalle per un’evidente mancanza di proposte e di soluzioni. La ricerca del consenso basata solo sulla critica e spesso sull’insulto alla lunga non regge. Il governo non dovrebbe rischiare nulla, sia perché il Pdl minimizza il significato politico del voto, sia perché ad avvantaggiarsi dell’alleanza di governo è il Pd e non il Pdl. Tuttavia quanti nel Pd contrastano l’attuale alleanza sono incoraggiati a corteggiare il M5S. L’affluenza è stata in netto calo (a Roma ha votato appena il 52% circa degli elettori mentre a livello nazionale il 67% circa contro il 73,6% di cinque anni fa).