La questione della decadenza di Berlusconi non è materia di governo, è “un dossier parlamentare”
La situazione politica in Italia non è cambiata di molto rispetto alla settimana scorsa, i termini del dibattito tra i partiti sono sempre gli stessi, è solo aumentato il livello di allarme per il governo, conseguenza della rigidità delle posizioni tra i partiti stessi e per questioni che non riguardano strettamente il programma e l’azione del governo. Enrico Letta fino alla settimana scorsa ostentava sicurezza, anche perché aveva ricevuto assicurazioni da parte di Berlusconi stesso che aveva sintetizzato il messaggio in poche parole: il governo non rischia, ha bisogno di stabilità, bisogna tenere separate le vicende personali da quelle del governo per il bene del Paese. Evidentemente, però, non è così, può esserci una drammatizzazione di toni, tuttavia più ci si avvicina al 9 settembre (quando si riunirà la Giunta del Senato per le immunità) e più le tensioni aumentano.
Alla fine di agosto dovrà essere sciolto il nodo dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa. La tassa sarà accorpata a quella sull’immondizia, ci sarà un unico provvedimento, però la questione rimarrà la stessa: o la tassa sulla prima casa sarà abolita oppure sarà crisi. In questi giorni dovrà vedere la luce – se già nel frattempo non è stato già approvato – anche il decreto sulla razionalizzazione della pubblica amministrazione, ma questi provvedimenti (soprattutto il primo) non esauriranno lo scontro, che riguarda la questione della decadenza di Berlusconi da senatore. L’argomento sarà trattato in un altro articolo, qui noi ci limitiamo a giudicare la posta in gioco dall’angolatura del governo. Enrico Letta è passato dunque da un giudizio (“sono sereno”) ad un altro (“ sereno variabile”) per ribadire alcuni concetti fondamentali.
“Gli ultimatum o le minacce sono inaccettabili”. In sostanza, il Pdl, con il vertice a Arcore che ha visto parlamentari e ministri tutti uniti attorno al leader per garantirgli la cosiddetta “agibilità politica” dopo la condanna definitiva sui diritti Mediaset del 31 luglio scorso, chiede al governo – anche al governo – di individuare una soluzione politica.
Letta ha risposto con il giudizio sopra riportato e, per quanto la questione non sia semplice da liquidare, ha ragione. La questione della decadenza da senatore non riguarda il governo, che non può fare assolutamente nulla, ma è “un dossier esclusivamente parlamentare”. Insomma, dice Letta, non è compito mio, non è nei miei poteri, ma nei poteri esclusivi del Senato. Stupisce come a questo punto il Pdl insista mettendosi in un vicolo cieco. Se è vero, come è vero, che si tratta di un “dossier parlamentare”, c’è una sola via per affrontarlo, ed è che il Pdl, in quanto alleato di maggioranza, debba chiedere un vertice al Pd in quanto partito e porre il problema, tanto più che giuristi di varie tendenze hanno riconosciuto l’esistenza di una cornice giuridica di una soluzione diversa da quella finora ufficialmente ritenuta valida. Questa, al di là poi dei risultati, è la via corretta e più utile, anche dal punto di vista istituzionale. Intestardirsi nel porre la questione al capo dello Stato, al premier e al Pd in modo pubblico e generico, più che avvicinare, allontana la soluzione. Letta ha anche detto che non vuole entrare nel merito del problema – ed ha fatto bene a precisarlo – e che qualunque sia la posizione del Pd, sarà quella giusta. Dunque, indirettamente ha suggerito al Pdl la via da seguire.
Il secondo concetto fondamentale per Letta è che una crisi di governo è deleteria per il Paese. “Oggi”, dice il premier in un’intervista al giornale austriaco Kurier, “la terra promessa dell’uscita dalla crisi è finalmente a portata di mano. Giungervi, non fermarci sulla soglia, dipende da noi. Dipende da una volontà di mobilitarci che sia all’altezza delle nostre potenzialità, che sia capace di ridarci ossigeno e farci percorrere con fiducia e forza di volontà l’ultimo miglio che ci separa dalla fine della crisi”.
Il terzo concetto fondamentale è che in caso di crisi “non ragiono su piani B”. Se venisse ritirata la fiducia, ci sarebbe la fine del governo di larghe intese. In questo caso, Letta rassegnerebbe le dimissioni nelle mani di Napolitano, il quale, presumibilmente darebbe un nuovo incarico allo stesso Letta che chiederebbe la fiducia agli stessi partiti che finora gliel’hanno data. Potrebbe accadere che il Pdl potrebbe concedere la fiducia ma senza entrare nel governo. Pensiamo che né Letta accetterebbe un Letta bis a queste condizioni di precarietà, né converrebbe allo stesso Pdl. Napolitano potrebbe assegnare l’incarico ad un’altra personalità per verificare l’ipotesi dell’esistenza di una maggioranza alternativa, con Sel e M5S, ma Grillo ha già detto che non si alleerà mai con il Pd, che vuole le elezioni con la stessa legge elettorale di adesso, per prendere la maggioranza assoluta e governare da solo. Scelta civica di Monti difficilmente potrebbe allearsi con Sel, e comunque i voti non sarebbero sufficienti. Non resterebbero che le elezioni anticipate, che è l’ipotesi sostanzialmente temuta da tutti, al di là delle dichiarazioni ufficiali, in primo luogo perché perdere sei mesi significherebbe distruggere quel poco che si è fatto e peggiorare l’economia, in secondo luogo perché potrebbe esserci ancora una volta quel risultato di sostanziale parità che impedirebbe al Paese di essere governato. E questa prospettiva sarebbe semplicemente catastrofica per l’Italia.