E’ cominciato il dibattito parlamentare sulla legge di Stabilità. Pd e Pdl hanno presentato centinaia di emendamenti ciascuno
Il governo mette un punto finale sulla seconda rata dell’Imu: non si paga, punto. Nelle ultime settimane e fino alla dichiarazione di Letta (venerdì della settimana scorsa) c’era chi, come Saccomanni, ministro dell’Economia, diceva che bisognava trovare le coperture, altrimenti bisognava pagare, e chi, come i ministri Pdl, ribatteva che non si doveva tornare indietro. Per evitare la confusione, Letta ha dichiarato: “Voglio essere secco e ultimativo. La seconda rata dell’Imu non si pagherà, è una decisione presa”.
Chiarito questo punto, il dibattito politico tra i partiti che sostengono il governo si trasferisce sugli emendamenti alla legge di Stabilità, la cui presentazione è scaduta sabato scorso. Il Pd e il Pdl ne hanno presentato centinaia a testa (900 e 600). Per dovere di cronaca ricapitoliamo brevemente quelli del Pd e quelli del Pdl, avvertendo che si tratta di proposte. Se verranno accettate, entreranno nel testo finale; se ci saranno distanze incolmabili, alla fine della discussione parlamentare il governo presenterà sicuramente un maxi emendamento su cui si voterà la fiducia. Va ricordato anche che il governo ha ribadito che modifiche si possono presentare e votare ma che il saldo finale dei conti, 15 miliardi, dovrà essere rispettato.
Alcune delle modifiche presentate per reperire entrate che siano utilizzate per creare opportunità di occupazione e sgravi fiscali, per il Pd (circa un miliardo) sono l’aumento dal 20 al 22% sulle rendite finanziarie e il riordino delle tasse sui giochi online e delle agevolazioni fiscali; per il Pdl (circa 4-5 miliardi) la vendita da parte dello Stato degli stabilimenti balneari e le concessioni di lungo periodo degli arenili, nonché una specie di mini condono fiscale con cui verrebbero pagate tutte le tasse non pagate ma senza sanzioni.
Tutti e due i partiti sono d’accordo sulla riduzione delle tasse e dei contributi per le imprese e i lavoratori dipendenti (il cuneo fiscale), le divergenze sono su come farlo. Il Pd prende come riferimento i redditi e propone di attribuire i benefici della riduzione del cuneo a chi non raggiunge i 28 mila euro lordi l’anno. In questo modo il cuneo riguarderebbe un numero limitato di lavoratori che avrebbero un vantaggio di circa 200 euro l’anno. Il Pdl, su proposta di Maurizio Sacconi, vorrebbe legarlo non al reddito ma alla produttività. Tutti e due i partiti vorrebbero raddoppiarlo rispetto all’entità proposta dal governo (attorno a un centinaio di euro all’anno).
Per quanto riguarda le pensioni, il Pd e Pdl hanno raggiunto l’intesa di mantenere il blocco dell’indicizzazione solo per le pensioni che superano i 3000 euro, tutte quelle al di sotto di questo tetto riceveranno l’adeguamento. La proposta del Pd di un prelievo sulle pensioni oltre i 90 mila euro è destinata a cadere perché la Corte Costituzionale ha già bocciato l’analoga misura approvata dal governo Berlusconi nel 2011 in quanto calpesta il principio dell’uguaglianza. Quanto alla casa, il Pd immagina solo un alleggerimento rispetto all’Imu, con il ritorno alle detrazioni per i familiari a carico; il Pdl, tra detrazioni e sconti, vorrebbe arrivare a non pagare la tassa sulla prima casa. Proposta immondizia: da pagare in base al consumo effettivo e non ai metri quadrati dell’abitazione.
Il governo ha presentato un provvedimento che adegua la legislazione italiana a quella comunitaria sulla responsabilità civile dello Stato in materia di errori giudiziari. L’attuale formulazione della legge Vassalli, infatti, sanziona le violazioni manifeste delle leggi nazionali, ma non di quelle comunitarie. E’ questa la ragione della procedura d’infrazione aperta dall’Ue nei confronti dell’Italia. Con questo disegno di legge, la procedura d’infrazione dovrebbe rientrare.
Concludiamo con la proposta di modifica presentata alla legge di Stabilità dal M5S: il reddito di cittadinanza a tutti coloro che non raggiungono la soglia di povertà, cioè 600 euro. In parole più semplici: ci sono nove milioni di persone in Italia che non raggiungono i 600 euro al mese. Ebbene, i grillini propongono che lo Stato integri ciò che manca per raggiungere i 600 euro, quantificando la spesa. Questo sarebbe il primo passo, l’altro passo, in un secondo momento, è di estenderlo a tutti. I costi per lo Stato sarebbero di 20 miliardi per i grillini, di 30 secondo la stima del governo fatta da Stefano Fassina. Tra Grillo e Fassina è guerra di cifre anche per quanto riguarda il reperimento di questi fondi. Il M5S afferma che un miliardo e mezzo lo si trova portando dal 20 al 22% le aliquote sulle rendite, poi Bot più cari, due miliardi e mezzo dal gioco d’azzardo, altri due miliardi e mezzo dal taglio alle spese militari, oltre un miliardo dalle tasse sulle pensioni d’oro con aliquote progressive che toccherebbero tutti. Inoltre: tre miliardi da una patrimoniale dello 0,5% sopra i due milioni, 500 milioni dal taglio dell’8×1000 destinato alla Chiesa e altri 250 milioni dal taglio del 5×1000 destinato alle associazioni. Il vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, liquida la proposta come “demagogica” (“Grillo in demagogia supera tutti”). In particolare Fassina dice: “Numeri sballati, frutto del lavoro di incompetenti”, per poi aggiungere: “Con le sue coperture si arriva a malapena a tre miliardi, un decimo di quello che servirebbe. E la mia è una stima prudente”. Insomma, una sonora bocciatura.