Caro Signor Console,
da molti anni sono in Svizzera e da molti anni leggo questo giornale. Oramai in pensione, il mercoledì lo sfoglio nella mia cucina senza le premure del lavoro.
Nelle ultime settimane mi sono appassionata alle puntate sulla storia dei Corsi e delle certificazioni. Devo ammettere che come in ogni duello, ho scelto di parteggiare per i più deboli, e i più deboli, in questo caso, sono gli insegnanti che di settimana in settimana, anziché scoraggiarsi, hanno continuato a scrivere, a cercare di far capire, a difendersi e a gridare al vento la loro impotenza.
Ho letto articoli di alcuni che hanno aiutato a spiegare, come Emilio Speciale e Raffaele De Rosa, e ho letto articoli che la pensavano in modo diverso.
Poi qualche settimana fa ho capito una cosa, una cosa semplice, grazie a Paola Frezza: loro stanno difendendo un pezzo della nostra storia in Svizzera, i Corsi di Lingua e Cultura. Stanno difendendo un pezzo di Italia in Svizzera che mi faceva sentire italiana nel posto meno italiano: la scuola svizzera. Ricordo quando andavo a prendere mio figlio a scuola, all’uscita dei Corsi, e vedevo quei bambini italiani con le tute del Milan o dell’Italia uscire dal cortile parlando italiano (in presenza di svizzeri) o in svizzero tedesco (se c’era dietro il maestro italiano), e sorridevo della loro italianità e della loro unicità.
Frezza, Petta, Ravi Monica e Pichi, stanno difendendo questo, la loro unicità. Quell’identità che qui in Svizzera chiamano multiculti e il mio paese vuole moncare togliendogli quel pezzo d’Italia che li rende così diversi e così unici.
Allora ho pensato che questo pezzo d’Italia non dovevano difenderlo loro, non è così che dovrebbero andare le cose, ci sono altri mandati qua a doverlo fare, consoli e ambasciatori, e altri eletti qua nei Comites o al parlamento. Mi rivolgo a lei ma anche agli altri, non lasciate soli questi insegnanti che nuotano controcorrente.
Ne ho visti tanti nella mia vita che nuotavano controcorrente, ma pur con tutta la forza che avevano, prima o poi, le forze venivano a mancare ed erano obbligati a tornare a riva. Noi italiani, in Svizzera e in Italia, abbiamo bisogno di questi arditi e un po’ spericolati. Non possiamo farceli scappare, o le nostre comunità si impoveriranno, lasciando campo a chi dice sempre sì, a chi non alza mai la voce e a chi specula sulla nostra ingenuità.
Ne ho viste nella mia vita, ma a una specie di tassa sulla lingua, come si ironizzava, non pensavo si potesse arrivare. E la certificazione per stranieri che si vuole proporre ai miei nipoti, che sanno l’italiano meglio di me e dei loro parenti in Italia, questo sembra: una tassa sulla lingua per gli italiani all’estero. Non basta dire: “Chi la vuole, la fa, non è obbligatorio”. E non basta stare in disparte per evitare errori, lei rappresenta lo Stato che sostiene i Corsi, e lo Stato non può stare in disparte, dovrebbe esporsi e farci capire cosa pensa di questa storia. La responsabilità è coraggio, anche coraggio di sbagliare.
Lei e gli altri rappresentati dello Stato, che ho lasciato ma mai rinnegato, col vostro silenzio, con la vostra fredda indifferenza, state lasciando logorare questi salmoni testardi in correnti troppo violente per le loro forze, e li state trasformando in piccoli eroi perdenti che presto saranno dimenticati. Ma con la loro sconfitta, cancellerete anche nei miei nipoti quel pezzo di Italia che, insieme a quel pezzo di Svizzera che li ha adottati, li rende unici.
Un caro saluto, Lina Cuttone