Nel Parlamento europeo, seppure per una ventina di voti appena, ha ottenuto la maggioranza il punto 7 della Risoluzione sulla ”Parità dei diritti fra uomo e donna”, in cui ci si rammarica ”dell’adozione da parte di alcuni Stati di definizioni restrittive di ”famiglia” con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli”. La Risoluzione non è vincolante, ma è un colpo di acceleratore sul riconoscimento delle coppie gay e sui loro diritti paragonati a quelli delle famiglie. Famiglia è quella formata da un uomo e una donna che possono avere o non avere figli (ma in teoria e per natura sì) oppure famiglia è anche quella formata da una coppia dello stesso sesso che sicuramente non può avere figli se non per adozione o, nel caso di due donne, per fecondazione eterologa assistita? Definire il concetto di famiglia e di matrimonio non è semplice, anche perché bisogna mettersi d’accordo sul termine di paragone. Se per famiglia s’intende una coppia formata da un uomo e da una donna che con il vincolo del matrimonio assicurano ai figli amore, affetto, protezione e sostentamento, allora, come giustamente ha osservato Sergio Romano sul Corriere della Sera, nemmeno il matrimonio tra un uomo e una donna di 70 anni, cioè senza più possibilità di procreare, dovrebbe essere ammesso e non si dovrebbe poter parlare di famiglia. Se, invece, al posto di parlare di famiglia e di matrimonio parliamo di coppia e prendiamo come termine di paragone non i figli, non il genere, ma il sentimento, il desiderio di stare insieme, di aiutarsi, di assistersi in caso di bisogno, allora è possibile trovare un minimo comun denominatore proprio nel concetto di coppia riconosciuta giuridicamente con reciproci diritti e reciproci doveri, certamente senza dare al legame un carattere religioso ma solo giuridico.
Le resistenze al riconoscimento giuridico delle coppie gay non sta, crediamo, nel non voler concedere diritti e doveri tipici delle coppie sposate (civilmente e/o religiosamente), ma forse nel fatto che l’omosessualità è sempre stata considerata nella storia (e più si va all’indietro e più i giudizi sono pesanti, per dirla con un eufemismo) una condizione o di vizio o di malattia o comunque di non naturalità. Una condizione ambigua, diversa da quella della maggioranza delle persone. Oggi, invece, le conoscenze scientifiche, mediche, sociologiche, eccetera, ci permettono di dire che l’omosessualità è una condizione naturale, seppure minoritaria. In qualunque Paese, a qualsiasi latitudine, in ogni razza, etnia, cultura e religione, i gay sono all’incirca il 5% della popolazione. Forse è sbagliato dire che l’omosessualità dipenda dall’educazione, dal tipo di educazione ricevuta, dalle caratteristiche e dal ruolo del padre e della madre nell’educazione dei figli, secondo la teoria psicanalitica. Forse la spiegazione è solo nella genetica. Che due persone, per simpatia, per sentimento, per amore, o anche per comodità, per assistenza, per piacere, o semplicemente per umanità, decidano di formare una coppia riconosciuta giuridicamente, pur, ripetiamo, senza scomodare le parole ”famiglia” e ”matrimonio”, è un fatto positivo che non toglie nulla a nessuno e sana invece situazioni che altrimenti sarebbero di solitudine e di sofferenza. La Francia ha scelto questa via ragionevole, mentre la Spagna la via più oltranzista. Forse, come ha detto Giuliano Ferrara in tv, anche la Chiesa, all’insegna dell’umanità e dell’amore tra il prossimo, dovrebbe guardare con occhi più amorevoli coloro che decidono di vivere insieme e di unire le loro vite. I tempi sono più favorevoli che nel passato. E forse anche le coppie di omosessuali dovrebbero accontentarsi di non chiedere ciò che, come le adozioni, creerebbe più problemi, specie ai bambini, di quanti ne risolva per la coppia.