La guerra delle ambasciate sta portando a sanzioni più dure contro gli ayatollah ma è da tempo iniziata anche la guerra dei sabotaggi e dei complotti per bloccare il programma nucleare
Dopo l’attacco all’ambasciata inglese a Teheran, con immancabile fuoco alle bandiere inglese, statunitense e israeliana, secondo il copione già visto nel 1979, l’Europa, senza che ci sia stata una concertazione, ha reagito in maniera univoca: condanna dell’attacco e richiamo degli ambasciatori per “consultazione”. Le sanzioni saranno appesantite, sia sulle società e sugli averi iraniani in Europa, sia, con ogni probabilità, anche nel settore energetico. Tra l’Iran e la comunità internazionale – o almeno una buona parte di essa e in modo particolare di quella che conta – è guerra aperta. Per l’immediato, le scintille avvengono sul piano diplomatico, nel futuro, più o meno prossimo, potrebbero avvenire anche con le armi, tutto dipende dalla guerra diplomatica e dai suoi esiti. Se la vigilanza internazionale, unita agli effetti delle sanzioni, provocheranno sconvolgimenti in Iran, allora la guerra sarà evitata; se, invece, non ci saranno sconvolgimenti, se la “primavera araba” non spunterà, ci sarà una guerra di nervi, come sta avvenendo ora, e prima o poi l’esperienza e la storia insegnano che sarà solo questione di un qualche episodio scatenante per arrivare alle armi. Anche la Russia e la Cina, di fronte all’attacco all’ambasciata di Londra a Teheran, hanno teso le antenne e fiutato il pericolo. Ma che cosa ha determinato questa situazione? È chiaro a tutti – e l’abbiamo detto nelle scorse settimane – che l’Iran sta per dotarsi delle armi nucleari. Tempo un anno o addirittura sei mesi e la minaccia non sarà solo verbale. Il presidente di Israele, Shimon Peres, qualche settimana fa ha confermato voci più o meno ufficiose secondo cui ci sarà un attacco di Israele e dell’Inghilterra, con l’appoggio degli Usa, ai siti nucleari in Iran. È evidente, però, che un’azione del genere provocherà reazioni e un’escalation militare dagli esiti imprevedibili, ma sicuramente gravissimi in termini di vite umane e di crisi economica, già di per sé molto pesante. Dunque, prima di arrivare a questo, bisogna pensarci su non una ma centinaia di volte. Da parte dell’Occidente da anni si insiste sul dialogo. Due anni fa, lo stesso Obama, in un discorso tenuto al Cairo, lanciò un appello al dialogo ai Paesi musulmani, che non è stato raccolto. Dopo le dimissioni dalla direzione dell’Aiea (l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica) dell’egiziano El Baradei, c’è stata una svolta all’Onu: non più accondiscendenza ma vigilanza stretta. La comunità internazionale non può più tollerare che il nucleare militare si spinga verso il punto di non ritorno. Di qui il Rapporto che ha illustrato ufficialmente i timori dell’Onu. Ma non c’è solo la via diplomatica ad essere stata ampiamente dispiegata nei confronti dell’Iran, c’è stata anche quella, parallela, degli attentati e dei sabotaggi, messi in atto dai servizi segreti dei Paesi interessati per bloccare la corsa dell’Iran alle armi nucleari. Ci si potrebbe chiedere: perché altri Paesi possono avere le armi nucleari e l’Iran no? La risposta è semplice: altri Paesi, in tempi di guerra fredda tra gli Usa, l’Occidente e l’Urss, hanno approfittato del clima di complicità dei rispettivi alleati di riferimento per dotarsi di armi nucleari, ma questo non significa che la corsa alle bombe atomiche non debba essere fermata per l’interesse e la sicurezza di tutta la comunità internazionale. Non solo. Il fatto è che l’Iran ha detto chiaramente e ufficialmente che “Israele deve essere cancellato dalla faccia della terra”, dunque, ha esercitato una minaccia preventiva che sarebbe sbagliato non prendere nella dovuta considerazione. E torniamo ai vari attentati e sabotaggi che ci sono stati nel corso degli anni e dei mesi scorsi per bloccare il programma nucleare degli ayatollah e che spiegano la reazione di Teheran nei confronti dell’ambasciata inglese. La guerra dei nervi, insomma, è già in atto. Una misteriosa esplosione è avvenuta il 12 novembre scorso nella base missilistica di Al Ghadir. Hanno perso la vita il generale Hassan Tehrani Moghaddam, padre del programma missilistico iraniano, e 17 suoi collaboratori. Le foto satellitari mostrano chiaramente i danni provocati alla base. Lunedì 28 novembre – quindi alcuni giorni fa – un altro probabile sabotaggio ha colpito il sito nucleare nei pressi di Isfahan, a 60 km da Teheran, dove dal 2004 vengono immagazzinate le tonnellate di fluoruro di uranio da cui si ottiene l’uranio arricchito, passaggio obbligato per la bomba atomica. L’attacco all’ambasciata inglese a Teheran si spiega con quest’ultima esplosione, non ritenuta un incidente, ma un atto di sabotaggio.La storia degli “incidenti” è lunga, ci sono stati danni e scienziati e tecnici, che lavoravano nei vari siti, sono morti: nel 2001 morì l’ingegnere Ali Mahamoudi Mimand; nel 2008 cadde un aereo con 44 ingegneri russi e scienziati iraniani in volo dalla Kirghisia a Teheran; nel 2010 a gennaio una bomba uccise lo scienziato Massoud Alì Mohammadi; il 29 novembre dello stesso anno un’altra bomba dilaniò l’auto del professor Majid Shahriar, mente del programma nucleare iraniano.Insomma, è la guerra ufficiosa tra i servizi segreti che cerca di evitare quella ufficiale, ben più micidiale, perché in quel caso i morti si conterebbero a milioni. [email protected]