Afgani, bengalesi, egiziani. In numero sempre più ridotto somali ed eritrei. Età: anche giovanissimi, di 12-13 anni, al 90% maschi.
È questa la “carta d’identità” dei minori che arrivano in Italia via mare. Non più e soltanto su vecchi barconi ma sempre più spesso su imbarcazioni da diporto, che più facilmente, soprattutto d’estate, si confondono con quelle degli italiani in vacanza, o su normali traghetti di linea, nascosti dentro Tir, furgoni o carrelli tenda.
778 è il totale dei minori arrivati in Italia, sbarcati o rintracciati in Sicilia, Puglia e nelle Marche, solo nei primi otto mesi dello scorso anno. Oltre ad essi si registrano, nello stesso periodo, 2.589 adulti, approdati nelle tre Regioni.
La costa salentina, Bari, Brindisi, ma anche il porto di Ancona, sono i punti di arrivo degli afgani e, in generale, dei minori che migrano dall’Asia.
La Sicilia è invece la “terra promessa”e il punto d’approdo dei minori migranti africani. Tra di essi, il gruppo degli egiziani ha di gran lunga superato quello di somali ed eritrei. I giovani africani continuano ad arrivare per la gran parte a Lampedusa ma da qui vengono immediatamente trasferiti a porto Empedocle per l’identificazione.
Dopo l’arrivo, e una volta riconosciuti come minori, i giovani migranti vengono inviati e accolti in una comunità alloggio. Non sempre tuttavia le strutture garantiscono adeguati standard di accoglienza e molte presentano notevoli carenze rispetto, soprattutto, ai servizi di consulenza legale e mediazione culturale. Anche a causa di ciò molti minori scappano, rischiando di finire in circuiti di sfruttamento.
E un fattore ulteriore di rischio, in relazione agli stringenti vincoli previsti dalla l. 94/2009, è rappresentato dal mancato riconoscimento a molti dei minori accolti nelle comunità, del permesso di soggiorno al compimento dei 18 anni, con la conseguente caduta nell’irregolarità.
Sono queste le principali evidenze del terzo rapporto di Save the Children su “L’accoglienza dei minori in arrivo via mare. Rapporto di monitoraggio delle comunità alloggio per minori in Sicilia, Puglia e Marche”.
La pubblicazione, frutto del lavoro svolto nell’ambito del progetto Praesidium, offre dati aggiornati sui minori arrivati via mare o rintracciati sulla “terraferma”, in Sicilia, Puglia e Marche nel corso del 2010 e informazioni sulle condizioni di accoglienza offerte dalle comunità per minori delle tre regioni.
“I dati che emergono quest’anno dal rapporto debbono essere letti con molta attenzione e senza cedere alla tentazione di analisi ottimistiche e semplificatorie”, commenta Valerio Neri, direttore generale Save the Children Italia.
“Ad una prima lettura infatti emerge una netta diminuzione degli sbarchi in Sicilia e una flessione dei rintracci nelle Marche. Tuttavia questo non è un dato rassicurante o indice di un miglioramento delle condizioni di vita dei minori nei paesi da cui migrano. La consistente diminuzione degli arrivi in Sicilia – aggiunge Neri – è il frutto dell’accordo fra Italia e Libia ratificato a febbraio 2009, a seguito del quale è stato avviato il pattugliamento congiunto delle coste italo libiche e sono state realizzate operazioni di rinvio di migranti, inclusi minori, rintracciati in acque internazionali e diretti verso l’Italia. Presumibilmente sono centinaia i minori rimasti in Libia e trattenuti in condizioni disumane, sottratti a qualsiasi tutela, protezione e controllo di organismi terzi e indipendenti”.
“Dai dati emerge inoltre come la diminuzione di arrivi investa soprattutto determinate nazionalità che nel 2008 risultavano essere tra le principali in arrivo a Lampedusa e sulle coste siciliane, tra cui somali, eritrei e nigeriani. La preoccupazione è che i migranti provenienti dai questi paesi siano rimasti in Libia o non siano riusciti a lasciare i paesi di provenienza nonostante le condizioni di grave instabilità degli stessi”.
“Vale allora la pena chiedersi – continua il Direttore Generale Save the Children Italia – se il fatto che questi minori da un anno non arrivino più nel nostro Paese, può lasciarci davvero tranquilli o, piuttosto, farci ancora di più temere per le loro condizioni di vita attuali”.
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