La nota stonata del Festival è che è stato antipolitico “andante ma non troppo”. Il conduttore Amadeus ha più volte detto che non sarebbe stato un Festival politico, che non si andava né da una parte né dall’altra, ma solo dalla parte della musica. E già questo disorienta: come fa il Festival di Sanremo a non fare accenno alla politica? La politica stessa invade lo spazio del Festival perché è un palco importante, lo spazio più “nazional popolare” che esista e alla politica piace molto questo termine. Ma soprattutto Amadeus, stranamente, è poco informato sulla storia del Festival, dove nelle varie edizioni la politica è sempre stata parte integrante dello spettacolo musicale. Durante gli anni ‘80 e le gloriose conduzioni di Pippo Baudo, si vide il conduttore portare sul palco la protesta degli operai dell’Italsider contro la chiusura dello stabilimento, mentre l’anno dopo lo stesso eroico conduttore salvò il disperato disoccupato che minacciava di buttarsi dalla balaustra. E quanti comici hanno portato la politica sul palco dell’Ariston in chiave umoristica? Perfino Grillo ha solcato il palco sanremese per i suoi show non proprio apolitici.
In anni più recenti la presenza di temi sociali e politici sono diventati necessari al Festival di Sanremo per imprimere un’identità più socialmente impegnata con i temi che interessano diverse categorie di individui, per dire in maniera concreta che davvero non “sono solo canzonette”. Se poi gli artisti che partecipano sono quelli che hanno sempre lanciato messaggi politici con i loro brani, allora che identità vuoi dare a questo Festival?
Si può parlare solo ed esclusivamente di musica tenendo lontane le istanze politiche e sociali dal palco di Sanremo? Impossibile. Ma si è cercato di “non fare politica”, lanciando messaggi attraverso brani, i saluti e gli interventi dei cantati in gara dopo le esibizioni, i comici, i conduttori, gli ospiti, i comunicati improvvisati e letti con imbarazzo. È il metodo del filtro che sui social ci mostrano come gli altri vogliono vederci, ma intanto è noi che guardano e ascoltano quello che vogliamo dire: nel Festival di Sanremo il messaggio politico è filtrato, lo percepiamo vedendolo come lo vogliamo vedere, ma il messaggio è quello. Allora si lascia che Dargen a fine esibizione lanci il suo messaggio contro la politica antimigratoria. Si lascia Ghali dire senza giri di parole “Stop al Genocidio”, che ha perfino scosso l’ambasciatore israeliano Alon Bar. Si parla degli stessi diritti di tutti i baci attraverso il co-conduttore intoccabile Mengoni, mentre la causa femminile è affidata a Fiorella Mannoia in abito da sposa e scarpe rosse. I trattori ci sono, anche se fuori dal teatro e arrivano sul palco con un breve comunicato. Perfino i fischi che hanno accolto il vincitore della serata dedicata alle cover, Geolier, sono diventati un caso sociale e politico che non sembra finirà con lo spegnimento delle luci del palco Ariston.
Il Festival e il suo fare politica senza parlare di politica ha certamente messo in evidenza che questo modus operandi è quello che piace agli italiani: il linguaggio politico filtrato è meglio accolto e ancora di più se affidato a chi non fa il politico di professione…
Redazione La Pagina