Un passo in avanti quello del presidente iraniano che per motivi forse
elettorali sembra nutrire meno ostilità verso lo Stato d’Israele
Dovremo abituarci ai colpi di scena, anche perché i rapporti tra Usa e Iran ne riservano uno alla settimana.
Come si ricorderà, aveva cominciato Obama ad inviare all’Iran un video messaggio in cui si tendeva la mano al dialogo per un “nuovo inizio”.
In sostanza, il presidente americano voleva mettere fine a trent’anni di freddo tra i due Paesi, anche perché si era accorto che la politica dei muscoli con l’Iran non attaccava.
Siccome, aveva pensato Obama, finora non si era riusciti a tenere sotto controllo le mire iraniane alle armi nucleari, tanto valeva controllarle offrendo un ramoscello d’ulivo, nella speranza anche di mettere in movimento un dibattito nella società di quel Paese… e poi da cosa sarebbe nata cosa.
Si cominciò con l’offerta Usa a coinvolgere l’Iran nella questione afghana come Paese confinante e la cosa sta andando. Ma Mahmud Ahmadinejad vuole di più, un gesto concreto, che arriva quando gli Usa comunicano la possibilità di un dialogo “senza condizioni”.
Poi c’è stata la Conferenza Onu sui diritti umani a Ginevra (Durban II), durante la quale il presidente iraniano si è lanciato nelle sue sparate contro Israele, pur senza nominarlo.
È stato a questo punto che il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha lanciato un avvertimento per dire che se l’Iran avesse continuato con le minacce, le sanzioni sarebbero diventate più “dure”. Ormai era chiaro che si stava ritornando al punto di partenza.
Ma ecco il nuovo colpo di scena. Dopo aver rincarato la dose su Israele, una volta ritornato a Teheran, forse perché si stanno avvicinando le elezioni, forse perché la politica delle minacce non va con gli Stati Uniti, forse perché vorrebbe il dialogo ma non può rinunciare ad essere se stesso, fatto sta che Mahmud Ahmadinejad lancia il sasso nello stagno, dicendo che due Stati per due popoli in fondo non sarebbe male.
Non lo nomina, dunque, ma con questa frase per la prima volta lascia intendere che lo Stato d’Israele non è un tabù.
Ecco le sue parole: “Bisogna lasciar agire i palestinesi per se stessi, qualunque decisione prendano; nessuno dovrebbe interferire”. È un notevole passo in avanti, anche se quello che dice dopo sono due passi indietro.
Il presidente iraniano propone di far fare un referendum al quale dovrebbero partecipare tutti, “anche i milioni di profughi sparsi nella regione e nel mondo” e pone una domanda agli americani: “Gli Usa accetterebbero una decisione che preveda lo scioglimento di Israele?”.
La rottura del ghiaccio è lenta, il ghiaccio è troppo spesso per cedere sotto i primi colpi, ma anche le più piccole aperture in diplomazia contano, se non altro per mantenere aperto uno spiraglio. Che esiste e che ognuno si preoccupa di non chiudere, alternando chiusure ad aperture.
Ecco quello che il presidente iraniano ha dichiarato a proposito dei messaggi di Obama: “Apprezziamo i suoi commenti ma non sono sufficienti. Per dialogare dovremmo avere un quadro chiaro (…) Le relazioni tra Iran e Usa dipendono dalle decisioni che saranno prese dall’amministrazione americana (…) Obama ci ha mandato messaggi di amicizia, ma nel comunicato distribuito dai 5+1 si nota una certa ostilità”.
Ecco, alternando frasi di critica a frasi di apertura il presidente iraniano “tiene la scena”, che è la cosa che più gli interessa.
Certo, la notizia dell’impiccagione di una donna, Delari Dalabi, pittrice di 25 anni, in carcere da 8 per un delitto commesso all’età di 17 anni e di cui non sarebbe lei l’autrice, ma il suo fidanzato, pone seri problemi al dialogo tra il mondo statunitense e quello iraniano. Evidentemente non per la pena di morte, che esiste anche negli Usa, ma per le garanzie democratiche e giuridiche in Iran, pressoché inesistenti, almeno a giudicare dall’ottica occidentale.
C’è però un dato incontestabile ed è che l’Iran ai fini della pace o della destabilizzazione in Medio Oriente ha troppa importanza, che si tratti di Iraq o di Libano o della questione palestinese, tanto importante da far passare in secondo ordine i diritti civili.