L’Europa ha “apprezzato” la lettera del governo italiano sui provvedimenti che intende assumere per la crescita dell’economia. In essa, che è un documento ufficiale dell’Esecutivo, sono contenute le misure e le scadenze. Sarà anche un “libro dei sogni”, ma è un fatto che è stato messo nero su bianco. Diciamoci la verità: erano in molti a sperare che in tre giorni il presidente del Consiglio non ce l’avrebbe fatta a presentare ciò che l’Ue ci chiede, ed erano in tanti a tifare per una brutta figura che non sarebbe stata solo del presidente del Consiglio, ma dell’Italia intera. Nei mesi scorsi il rimprovero più benevolo all’indirizzo del premier era che faceva annunci che poi immancabilmente restavano tali, ora quegli annunci, complice l’aggravarsi della situazione internazionale, si sono tradotti in proposte e in misure precise. Lo stesso premier ha dichiarato che l’Europa vigila sull’Italia, che se le parole non si tradurranno in provvedimenti di legge, l’Europa non ci darà una seconda occasione. Le riforme, insomma, o si faranno e se ne avvantaggerà l’Italia o lui ci rimetterà la faccia (e il posto) e si colerà tutti a picco. L’atteggiamento delle opposizioni non ci sembra andare nel senso della responsabilità. Adesso che bisogna entrare nel merito, quali sono le reazioni? Da una parte ’ennesima richiesta di dimissioni del premier, ormai inflazionata perché declamata come una giaculatoria prima e alla fine di ogni discorso, dall’altra un appello alla piazza e allo sciopero generale da parte non solo della Cgil ma anche della Uil e della Cisl, con il sostegno dei partiti di sinistra ma anche di quelli tradizionalmente moderati ex alleati del centrodestra, contro i licenziamenti. Ecco lo spauracchio. Qui si apre un capitolo serio. La legislazione che riguarda il lavoro, da una parte, da Treu (1996-98) in avanti, ha favorito l’impiego precario, con tutti i risvolti negativi in termini di sicurezza e i retribuzione, dall’altra, specialmente nelle grandi fabbriche e soprattutto nella pubblica amministrazione – dove sono occupati centinaia di migliaia di lavoratori – da quarant’anni a questa parte ci fa assistere ad uno spettacolo che dire penoso è un eufemismo: assenteismo, mancanza di rispetto degli orari quando si va e quando si esce dall’ufficio, sortite per fare la spesa e per stazionare al bar, certificati medici falsi, scarsissima produttività. Basta andare in un qualsiasi ufficio pubblico per rendersene conto. È noto che questo andazzo esiste perché in pratica nella pubblica amministrazione vige l’illicenziabilità, anche se si commettono reati. Insomma, per sintetizzare, nella pubblica amministrazione la bassissima produttività si somma agli sprechi e all’immobilismo, oltre che al premio del demerito. Non è possibile continuare con questo andazzo. Licenziare non è una cosa bella, ma non è bello nemmeno prendere lo stipendio senza nessun merito, anzi, spesso irridendo a quelli che fanno il loro dovere. Sulla riforma della legislazione in materia di mercato del lavoro si gioca la vitalità o l’immobilismo occupazionale. Non si può invocare (giustamente) l’occupazione e nello stesso tempo bloccarla proteggendo i fannulloni, non è serio. Su questa materia, il governo ha accolto la proposta articolata di un autorevole membro del Pd, Pietro Ichino, che coniuga le giuste esigenze delle aziende e quelle sacrosante dei lavoratori, che in caso di licenziamento motivato vanno protetti finanziariamente. Non si può dire, insomma, che le proposte di Ichino non sono quelle ufficiali del partito solo perché il governo le ha fatte proprie. Innovare in questo campo è un imperativo categorico. Su questi temi ne va della credibilità della maggioranza, ma anche delle opposizioni, la sconfitta dell’una è la sconfitta delle altre, perché a fondo andrebbe il Paese intero. [email protected]