È iniziato in parlamento il processo riformatore per una nuova legge elettorale ed il monocameralismo
L’Italia vive uno dei momenti più difficili della sua storia recente dal dopo guerra a oggi . Una disoccupazione di massa ( oltre tre milioni di senza lavoro ) con l’aggravante delle nuove generazioni che, soprattutto al sud, hanno oramai perso ogni speranza di un futuro nella loro terra. Se ne vanno via i nostri giovani.
Solcano le alpi in cerca di un approdo su cui costruire una nuova speranza. Se ne vanno i più coraggiosi. I più attrezzati e in possesso dei requisiti professionali all’altezza di vincere la sfida della nuova emigrazione. Nel frattempo, il parlamento ha vissuto e vive fasi altamente drammatiche. Lo scontro è oramai regola quotidiana. E molto spesso ben al di là del conflitto politico sale di una moderna democrazia. I lavori della settimana vedono la camera dei deputati impegnata sulla riforma elettorale, riforma di cui si parla da anni senza che le forze politiche abbiano saputo trovare una intesa per il superamento della famigerata legge del “porcellum” opportunamente dichiarata anticostituzionale dalla Corte Costituzionale.
La proposta in discussione prevede una forte semplificazione del quadro politico a cui seguirà, con il superamento del senato, la fine di quel bicameralismo perfetto che ha svilito e rallentato il processo legislativo. I danni prodotti sono evidenti. Leggi confuse e dal forte sapore corporativo, sporcate, oltretutto, da un esteso conflitto di interessi a scapito del bene generale della nazione. La riforma è, quindi , necessaria e urgente. Ma quale riforma? Dice lo storico Carlo Galli, dell’università di Bologna : A quale partito, a quale democrazia si fa riferimento quando si parla di riforme e legge elettorale? E aggiunge: si deve prendere atto non solo della situazione del sistema politico italiano che sopra anch’io ho brevemente delineata, ma anche del modo fallimentare in cui quel sistema funziona. Tre, infatti, sono i fallimenti che caratterizzano la politica italiana, oggi. Il primo è il fallimento del principio della parola, cioè del Parlamento. Se mai oggi si parla di politica (posto che se ne parli senza gridare e senza trasformarla in uno spettacolo) ciò avviene in televisione, nei talk show, che sono di fatto la forma adeguata della parola politica oggi, quella che in qualche modo legittima la politica. I cittadini non specialisti sanno poco di ciò che si dice e si fa in Parlamento, ma seguono (non tutti, certo) le trasmissioni di dibattito politico.
Un altro fallimento è quello del principio della dialettica e del conflitto, anch’esso centrale in una prassi democratica, mentre oggi è stato rimosso dalla fisiologia della politica ed è stato trasformato in avversione radicale (inimicizia è parola che fa riferimento a un ambito teorico troppo alto, inadeguato a questo contesto). L’avversione radicale, bene alimentata dalla propaganda, spacca la società in campi contrapposti, che si delegittimano a vicenda senza interagire, neppure dialetticamente. Su di essa possono fiorire solamente scontri urlati (una pseudo-mobilitazione) e pratiche parlamentari di collaborazione per ‘necessità’ (una pseudo-alleanza).
Il terzo fallimento è quello della rappresentanza. Di fatto, la forma di rappresentanza più sentita, e più praticata in Parlamento, è quella dei territori: una idea di legame semplice e intuitivo fra la società e il ceto politico. Ma a fronte di questo trionfo del particolare (a volte inevitabile, e anche giusto), il ben più oneroso compito universale della rappresentanza, di cui si è detto, non ha rilievo pratico, né è parte significativa del discorso pubblico. È a tal punto fallita la rappresentanza che i politici eletti si sono trovati schiacciati dalla definizione di «casta», che è l’esatto contrario della rappresentanza. Rappresentanza vuol dire che ‘quelli là’ siamo noi; casta vuol dire che ‘quelli là’ sono ‘loro’.
Questi tre fallimenti dipendono poco dalla Costituzione , e molto dai partiti e dalla loro crisi. In questo momento due dei tre attori principali della politica italiana sono interpreti di avversioni furiose. Sicuramente il Movimento 5stelle modula in questa chiave il conflitto generazionale e il conflitto anti-casta, realizzando un buon esempio di populismo. Mentre la destra rappresenta come invincibile avversione il conflitto pubblico-privato, a tutto favore del privato. Non parti ma fazioni, quindi. Il PD è il partito della Costituzione e delle istituzioni, cioè dell’universale. E interpreta non un’avversione ma un conflitto politico contro chi è animato da istinti anti-costituzionali; ma il Pd è, soprattutto, un partito che vuole rassicurare (altra cosa è che la crisi glielo permetta), che vuole mandare un messaggio di ricostruzione e di riforma sociale e civile..
Per un verso o per un altro, insomma, mancano in Italia partiti formativi e capaci di alleanze politiche; cioè partiti autorevoli e radicati. Ciò è avvenuto perché, dagli anni Ottanta, la diffusa corruzione da una parte, e dall’altra le politiche e le ideologie neoliberiste, hanno generato una debolezza, una passività, ma anche un’aggressività, dei partiti di cui oggi patiamo le conseguenze. Carlo Galli è molto pessimista sulle prospettive. A chi non è storico, come il sottoscritto, non rimangono che l’impegno e la speranza: un sussulto di responsabilità per il bene della nazione.