In occasione della prossima conferenza organizzata dall’aSri, l’associazione svizzera per i rapporti culturali ed economici con l’italia, abbiamo rivolto alcune domande a marcello Foa, protagonista dell’interessante appuntamento del 29 marzo prossimo a zurigo. il giornalista italiano farà il suo intervento su un argomento di grande attualità: “Possiamo ancora credere ai governi? il ruolo dei media tra informazione e manipolazione”. Ecco cosa ci ha detto.
Signor Foa, lei sarà ospite del prossimo appuntamentofirmato ASRI a Zurigo. Può darci un’anticipazione del tema di cui si discuterà durante la conferenza?
Affronto un tema cruciale ma di solito poco esaminato: quello dello spin ovvero delle tecniche che vengono usate dai governi non per informare correttamente, come dovrebbero, ma, purtroppo, sempre più spesso, per orientare e manipolare l’opinione pubblica. Durante la conferenze spiegherò quali sono e come funzionano queste tecniche.
Come può essere descritta l’attuale situazione politica italiana, di cui parla spesso nel suo blog “Il cuore del mondo”?
Purtroppo è una democrazia sospesa. Al governo tecnico si è arrivati attraverso il ricatto finanziario e, come è già successo in altri Paesi, si è arrivati a una soluzione che non poggia sul consenso popolare diretto. Personalmente diffido delle finalità ultime di questo governo.
A suo parere, quanto la politica incide sul giornalismo e viceversa?
In teoria il giornalismo ha un potere di condizionamento molto forte, in realtà, purtroppo, la politica – grazie anche alle tecniche dello spin di cui parlerò nella conferenza – incide tantissimo sui giornalisti, sia sulla qualità dell’informazione che sulle ragioni più autentiche di certe battaglie o certe inchieste giornalistiche che, per quanto accese e coraggiose, hanno sempre risvolti o finalità squisitamente politiche
Una notizia falsata può incidere in qualche modo sulle decisioni del singolo cittadino e di conseguenza sul destino di un’intera nazione?
Sì e accade molto spesso. L’esempio più clamoroso è quello della guerra in Iraq che è stata lanciata sulla base di supposizioni completamente errate e con un’ampia, voluta, articolata manipolazione dell’opinione pubblica. Ma ogni giorno e in diversi ambiti vengono diffuse notizie manipolate. Si ricorda dell’influenza suina?
Nel corso della sua esperienza in questo settore, si è trovato a confronto con due realtà diverse: la stampa svizzera e quella italiana. Secondo lei, quali sono le sostanziali differenze e quali i punti d’incontro tra le due?
Differenze: in Svizzera non c’è una vera stampa nazionale, a causa della frammentazione linguistica; inoltre i codici etici sono rispettati più rigorosamente e l’approccio è molto meno sensazionalista, perlomeno nella stampa di qualità da Nzz a Le Temps al Corriere del Ticino. In Italia la stampa è più emotiva, meno attenta alla citazione delle fonti ma più vivace. Inoltre manca una chiara distinzione tra stampa di qualità e stampa popolare e questo genera un giornalismo ibrido: il Corriere della Sera è un grande giornale, ma che concede più spazio di quanto facciano altre grandi testate europee alle notizie di cronaca e alle soft news.
Il panorama giornalisticoitaliano sembra sia costituito da testate ormai fortemente schierate politicamente e con grossi gruppi editoriali alle spalle: pensa che sia possibile non schierarsi o ciò è inevitabile, almeno in Italia? Crede che ciò sia necessario per la sopravvivenza economica di un giornale? Pensa che sia ancora possibile una stampa veramente “indipendente”?
È vero: oggi non esiste una vera stampa indipendente, però all’interno delle singole testate, indipendentemente dal loro orientamento, lavorano giornalisti davvero bravi che, grazie alla loro credibilità, hanno una notevole capacità di giudizio e di analisi. Io auspico moltissimo una stampa indipendente e con editori che non abbiano anche interessi politici o economici, però è difficile che nasca e si sviluppi per la dipendenza dalla pubblicità, che espone i giornali al condizionamento dei grandi inserzionisti. Anche questo è un problema.
Nella sua carriera ha avuto modo di entrare in contatto con Indro Montanelli. Cosa può dirci di questa esperienza?
Montanelli è stato il mio maestro e a lui devo tantissimo: fu lui a nominarmi caporedattore quando non avevo nemmeno 30 anni. Molti da fuori lo vedevano come un burbero, un toscanaccio e invece con noi giovani giornalisti era amabilissimo, sempre disponibile, spiritoso: uno zio che ci voleva molto bene. Rimpiango il Giornale di quell’epoca. Montanelli ha dimostrato che si può essere giornalisti coraggiosi e indipendenti senza rinunciare alla signorilità e a un’integrità interiore. Sono felicissimo di aver potuto lavorare a stretto contatto con lui per quattro anni. Era e resta inimitabile.
Eveline Bentivegna