Non sempre la verità processuale è uguale alla verità morale dei fatti, ma quando questo accade, quando cioè le due verità coincidono è il trionfo del diritto.
È questo il concetto giuridico-filosofico che il protagonista del film Philadelfia afferma allorché viene dimostrato che un avvocato è stato licenziato dal pool di colleghi non perché rendeva poco, ma perché era affetto da aids.
Questo concetto ci è venuto in mente in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte d’Assise di Milano che ha affermato il principio in base al quale anche se due persone non sono sposate, dopo un periodo prolungato di convivenza scatta l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale.
La sentenza arriva dopo un lungo percorso processuale che vede imputato un uomo accusato di aver abbandonato per due mesi la sua compagna di 56 anni, la quale viveva in condizioni di grave malattia, immobilizzata a letto a causa della rottura del femore non diagnosticata e, per giunta, di uno stato avanzato di tumore.
Le condizioni di degrado sia fisico che igienico della donna furono tali che quando arrivò l’ambulanza costei era al limite del credibile: l’igiene era scadentissima, il fisico distrutto dalla fame e dalla sete e la sofferenza terribile, al punto che il giorno dopo morì.
Il convivente fu subito incriminato per abbandono d’incapace e a nulla valsero le sue giustificazioni (“mi diceva che avrebbe chiamato lei il medico…”); ma alcuni anni dopo, esattamente nel 2007, la sentenza di primo grado lo assolse perché la legge prevede che l’obbligo di reciproca assistenza morale e materiale vale solo per i coniugi e i due non lo erano, erano solo conviventi da circa quindici anni.
Le motivazioni della sentenza di assoluzione si basarono sul fatto che se l’uomo fosse stato condannato ci sarebbe stata “una inammissibile interpretazione in senso sfavorevole” della norma che punisce l’abbandono.
Fu un caso palese in cui il diritto non coincideva con la verità dei fatti.
Due anni dopo, cioè pochi giorni fa, la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello che ha ribaltato la precedente assoluzione, non “condividendone l’impostazione” e ritenendo configurabile che anche “un rapporto di convivenza, prolungato nel tempo, dia luogo a vincoli di dipendenza reciproca che comportano necessariamente il riconoscimento giuridico dei doveri di carattere sociale sanciti dalla Costituzione inerenti alla natura del rapporto, che assumono quale contenuto il soddisfacimento quantomeno dei bisogni primari, quali appunto la salute e l’alimentazione”.
In sostanza, la Corte d’Appello non nega la differenza esistente tra un rapporto di convivenza e di matrimonio, ma ha equiparato la convivenza stessa, specie quella “prolungata”, agli obblighi che la legge prevede in caso di “provvedimento giudiziario di allontanamento” nei confronti di uno dei conviventi qualora l’altro rimanga privo di mezzi adeguati di sussistenza.
Insomma, se due persone vivono insieme e uno dei due è colpito da un provvedimento di allontanamento – nel caso ad esempio in cui l’uomo picchia la donna (o viceversa) – costui (o costei) è tenuto a sostenere con mezzi finanziari chi rimane solo. Se viene tutelato chi rimane solo in seguito a provvedimento giudiziario di allontanamento, a maggior ragione, ha sentenziato la Corte d’Assise di Appello di Milano, va tutelato chi ha bisogno in virtù di una “costanza di rapporto di convivenza”, per di più da lunga data.
L’obbligo di reciproca assistenza materiale e morale deriva da ciò che una convivenza prolungata ha significato e comporta.
Ovviamente ciò non può non far piacere a chi, indipendentemente dall’orientamento sessuale, convive da lungo tempo con qualcuno e, in stato di bisogno e di malattia grave (e solo in questi casi) viene abbandonato. La sentenza afferma dunque un principio giuridico di civiltà.
In quanto alle conseguenze per l’uomo che abbandonò la donna che poi morì, egli è stato condannato ma ha evitato la pena solo perché a sua volta è stato riconosciuto affetto da disagio mentale.
Insomma, aveva abbandonato la convivente, ma non sapeva quel che faceva.
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