La sentenza ha condannato la holding della famiglia Berlusconi a risarcire di 560 milioni la Cir di Carlo De Benedetti
La condanna per Fininvest rimane, ma i 750 milioni di euro stabiliti dal Tribunale meno di due anni fa, ma 540 milioni che, con gli interessi legali a partire dalla data del deposito della sentenza di primo grado, sfiora quota 560 milioni. é questo il pur sempre maxirisarcimento indicato dalla seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano dovuto a Cir per i danni diretti e immediati subiti da una corruzione ha permesso di ‘pilotare’ la spartizione della Mondadori in favore di Silvio Berlusconi.
Il verdetto di secondo grado, arrivato dopo circa quattro mesi di camera di consiglio, é immediatamente esecutivo. E così, anche se ridotta di circa 190 milioni di euro, é probabile che a breve la società della famiglia De Benedetti incassi la somma. Se così non fosse Fininvest, oltre all’annunciato ricorso in Cassazione, può presentare contestualmente alla Corte d’Appello un’istanza per chiedere di sospendere l’esecuzione del provvedimento, ritenendo che da ciò possa derivare “un grave e irreparabile danno”.
Per Niccolò Ghedini, legale del premier, la sentenza va “contro ogni logica processuale e fattuale” ed é convinto che verrà “annullata” dalla Suprema Corte.
Ad incidere sulla decisione ci sono due ordini di motivi: da quelli legati alla vicenda giudiziaria che ha portato a condannare il giudice Vittorio Metta e gli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico, a quelli di carattere più tecnico che riguardano i conteggi. I giudici di secondo grado non solo hanno concluso che il provvedimento con cui nel gennaio del ’91 la Corte d’Appello di Roma annullò il lodo arbitrale che aveva dato ragione a De Benedetti fu frutto di una corruzione e quindi ‘comprato’, ma si sono spinti oltre.
Hanno ricostruito “che cosa avrebbe deciso un ‘collegio normale’ – si legge nelle motivazioni – dopo un percorso decisionale anch’esso ”normale ed impregiudicato nelle opinioni di tutti i suoi componenti”, cioè senza “Metta corrotto” e senza “anomale patologie”, ma “che operasse con gli altri due componenti non condizionati dalle opinioni di un relatore corrotto”.
Hanno, in sostanza, ‘rifatto’ virtualmente la sentenza di 20 anni fa, basandosi sulla giurisprudenza di allora, per stabilire che la conferma del Lodo era scontata perché “la sentenza della Corte di Roma é ingiusta anche nel merito, poiché una sentenza giusta avrebbe inevitabilmente respinto l’impugnazione”, della famiglia Formenton senza così consegnare la casa editrice nella mani di Berlusconi che, sebbene sia uscito dalla vicenda penale nel 2001 con un proscioglimento per prescrizione, i giudici considerano, ai fini civilistici, “corresponsabile della vicenda corruttiva” in quanto “non é emersa (…) l’evidente innocenza dell’imputato”. E che, ai tempi Presidente del cda di Finivest e anche suo legale rappresentante, non poteva non sapere che dai conti della società fossero usciti 3 miliardi di lire (bonificati il 14 febbraio 91 su un conto di Previti e di cui 400 milioni finirono a Metta) e non poteva non essere “a conoscenza della dazione e delle sue finalitˆ”.
E se il nesso causale diretto tra la corruzione del giudice Metta e l’esito della sentenza ‘comprata’ ha comportato che tutti i danni accertati vengano risarciti a Cir senza alcuna riduzione in nome di una perdita di chance, a determinare lo ‘sconto’ di 190 milioni hanno pesato in particolare quattro fattori: la consulenza tecnica d’ufficio relativa alla variazione degli assets tra il giugno ’90 e l’aprile del ’91, la mancata valutazione da parte del giudice di primo grado del calcolo delle azioni Espresso acquistate allora da Cir, il mancato riconoscimento del danno di immagine alla holding di De Benedetti e un ritocco al ribasso della valutazione del danno per via equitativa.
Alla fine la Corte d’appello ha calcolato che alla data della sentenza ‘inquinata’, il 24 gennaio ’91, il danno subito da Cir é stato di poco più di 160 milioni di euro, a cui si aggiungono circa 24 milioni stabiliti dai giudici in via equitativa, le spese processuali di circa 4 milioni e mezzo. Su questa cifra, poco meno di 190 milioni, sono stati conteggiati rivalutazioni e interessi fino al 3 ottobre 2009 (deposito della sentenza Mesiano) e si é arrivati ai 540 milioni di risarcimento a cui é stata condannata Finivest, al netto di ulteriori interessi legali, che fanno lievitare la cifra a 560 milioni.
Pesanti le reazioni della sentenza in Borsa, con forti perdite per tutte le società coinvolte.
La Cir ha chiesto la copia della sentenza per poter chiedere al pool di banche – capofila Intesa Sanpaolo – che hanno prestato alla holding del Biscione una fideiussione di 860 mln, il pagamento del risarcimento.
“I 560 milioni di euro che la Fininvest dovrà pagare alla Cir” sono, secondo il presidente lombardo Formigoni, “una cifra così enorme che rischia di mettere a repentaglio i bilanci di un’azienda. Non era mai successo prima nella storia d’Italia”.
Silvio Berlusconi medita le mosse da fare dal buen retiro sardo di Villa Certosa, ma sceglie la linea del silenzio, rinunciando anche ad impegni pubblici già assunti in precedenza. Troppo alto il rischio di lasciarsi andare a sfoghi su quella che il premier considera da tempo una “rapina a mano armata”, una “sentenza politica” delle toghe rosse. A Porto Rotondo Berlusconi, con Nicolò Ghedini, sta studiando la sentenza e valutando il da farsi (resistere tout court, sacrificare utili, vendere rami d’azienda). Intanto, sembra scontato che le vie da percorrere siano la richiesta di sospensiva e il ricorso in Cassazione, considerato che una fideiussione rende immediatamente esigibile il credito.