La legge esonera sacerdoti e vescovi delle Chiese anglicana e cattolica dall’obbligo di celebrare le unioni con rito religioso
Si può essere uno Stato confessionale ed essere contemporaneamente laico e democratico. E’ il caso della Gran Bretagna, dove la religione anglicana è religione di Stato, che, però, più che condizionare lo Stato è da esso condizionata, al punto che il vero capo giuridico e politico della Chiesa anglicana è la regina d’Inghilterra che nomina il vescovo di Canterbury, che a sua volta ne è capo spirituale. Questa situazione data dal 1534, quando il re Carlo VIII, fino ad allora zelante difensore del cattolicesimo contro il protestantismo nascente, si staccò dalla Chiesa di Roma perché non aveva ricevuto il divorzio dal Papa e fondò, appunto, la Chiesa anglicana che, dal punto di vista dottrinale, conserva i riti e le liturgie cattoliche.
Abbiamo richiamato questi concetti e riferimenti storici per dire che il governo conservatore guidato da David Cameron ha approvato la legge che riconosce il matrimonio tra omosessuali. La Chiesa anglicana di Stato, però, al pari di quella cattolica, non lo riconosce, ma siccome dipende dallo Stato, con un diritto canonico che è quello, appunto, dello Stato, sono sorti problemi. Da una parte, dunque, c’è la dottrina religiosa che impedisce ai vescovi e ai sacerdoti anglicani di celebrare matrimoni tra gay, dall’altra la legge civile che obbliga al rispetto delle norme dello Stato anche la Chiesa d’Inghilterra e le altre confessioni.
Sir Tony Baldry, rappresentante della Chiesa d’Inghilterra ai Comuni, ha detto che “l’unicità del matrimonio sta nell’unione fra un uomo e una donna”, con un riferimento preciso alla Bibbia. E allora? Il conflitto è stato risolto con una serie di garanzie che sono un compromesso tra le due posizioni, per cui la Chiesa d’Inghilterra, al pari di quella cattolica, non è tenuta a celebrare matrimoni tra gay visto che la materia non è contemplata dalla dottrina delle due Chiese, per cui un sacerdote anglicano può rifiutarsi di celebrare unioni gay. I sacerdoti, invece, che fanno parte di Chiese che riconoscono il matrimonio gay non possono rifiutarsi. Insomma, il matrimonio gay resta inscritto nel codice civile senza che la Chiesa anglicana o cattolica debba riconoscerlo. Se, dunque, le due Chiese non sono obbligate a riconoscere e a celebrare un matrimonio omosessuale, i Comuni, invece, sono obbligati proprio perché il riconoscimento civile della citata unione è sancito da una legge dello Stato.
Favorevoli al matrimonio gay sono i quaccheri e il giudaismo liberale, contrari tutte le altre Chiese. Se le posizioni dottrinali degli anglicani e dei cattolici vengono spiegate con il riferimento biblico, altrettanto chiara è la posizione dello Stato. Ecco la dichiarazione del ministro della Cultura, Maria Miller: “Lo dico chiaramente: nessuna organizzazione religiosa verrà mai forzata a celebrare il matrimonio fra persone dello stesso sesso. La legge europea garantisce la libertà religiosa oltre ogni dubbio e noi compiremo un passo in più introducendo quattro livelli di garanzie legali. Ma un altro aspetto della libertà religiosa è consentire a quelle organizzazioni che vogliono farlo di aderire”. Insomma, nessuno obbliga chi non vuole, ma chi non vuole non può obbligare gli altri a non farlo. Il concetto deve valere per tutti.
Infatti, il compromesso ha finito per non soddisfare tutti e per scontentare alcuni in modo particolare: quelli che vorrebbero sposarsi civilmente e anche con rito religioso, arrogandosi il diritto di decidere in una materia che compete ad altri, cioè a sacerdoti e a vescovi, cioè all’istituzione Chiesa. La legge stabilisce anche che privatamente i membri della coppia possono chiamarsi come vogliono, ma nei documenti ufficiali la definizione di marito e moglie deve restare, lasciando evidentemente a ciascuno dei due la facoltà – quantomeno burocratica – di essere definito ufficialmente sui documenti moglie o marito.