A chi gli chiedeva un governo tecnico Napolitano a Cernobbio ha risposto che l’Italia è una democrazia parlamentare e che pertanto contano i numeri, invitando maggioranza e opposizioni alla responsabilità e all’interesse nazionale
Sono quattro i punti che hanno costituito l’ossatura politica della settimana scorsa: i tempi della manovra bis, le modifiche, la risposta di Napolitano alla proposta di un governo tecnico e la situazione negli Usa. Cominciamo dai tempi della manovra bis al Senato, tempi che non sono stati rispettati. Magari quando il giornale arriverà nelle case degli abbonati (mercoledì sette settembre), il Senato l’avrà già approvata, resta il fatto che l’impegno era di approvarla entro il quattro settembre per poi diventare legge alla Camera in maniera definitiva entro il dieci. I tempi, come si vede, sono sconfinati. Si dirà che non è un grave problema un ritardo di 3-4 giorni, tanto più che recentemente siamo passati dai tempi indeterminati di una volta a tempi molto stretti, con la prima manovra approvata in 4-5 giorni sia alla Camera che al Senato, con il decreto legge che prevede un limite di 60 giorni prima che scada. Tra l’altro, questa manovra bis è stata approvata intorno a Ferragosto, quindi appena tre settimane fa, e dunque due o tre giorni di ritardo non sono la fine del mondo.
Invece no, possono esserlo, perché non contano solo i contenuti della manovra, contano anche i tempi. La rapidità serve a dare un segnale ai mercati e all’altalena degli scambi borsistici e per arrivare subito a una manovra definita nei contenuti. E qui passiamo subito al secondo punto dell’ossatura, cioè alle modifiche. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri, le proposte di modifica sono state tante, alcune dapprima proposte, poi successivamente accantonate e poi magari riprese con qualche riserva. Prendiamo il “contributo di solidarietà” per la parte eccedente i 90 mila e i 150 mila euro. All’inizio fu giustificato dall’emergenza dei conti, poi fu cancellato (rimase solo quello per i parlamentari, che comunque è già un segnale) per essere sostituito dall’aumento di un punto percentuale dell’Iva. Successivamente, anche l’aumento dell’Iva è stato messo da parte. Tremonti – non è un mistero – non lo voleva e non lo vuole perché ritiene che penalizzerebbe i consumi, quindi avrebbe un effetto “depressivo” sul rilancio dell’economia; altri lo vorrebbero in virtù del fatto che spalmerebbe l’aumento su chi consuma di più e comunque eviterebbe di penalizzare chi dovrebbe pagare un contributo di solidarietà mentre già paga regolarmente le tasse.
Ecco quindi che ad un certo punto, raccogliendo il suggerimento espresso da una persona che sul Corriere della Sera si firma Johannes Bürkler, il governo propone un inasprimento alla lotta contro l’evasione fiscale con un meccanismo molto semplice: pubblicare on line le dichiarazioni dei redditi degli italiani e dare ai Comuni il potere di chiedere all’Agenzia delle Entrate di indagare contro presunti evasori residenti in quel determinato Comune incrociando i dati sull’attività, la dichiarazione, i possedimenti e il tenore di vita, con una contropartita per i Comuni: intascare il cento per cento dell’ammontare dell’evasione. Insomma, una misura ben strutturata contro chi evade le tasse sia per prevenire il reato che per recuperare i soldi, e tanti soldi, visto che le stime parlano di 130-200 miliardi all’anno. Questa proposta, che comincia a piacere alla maggioranza dopo che per anni la lotta all’evasione è stata blanda, stranamente piace di meno alle opposizioni e a Confindustria. Al Pd piace di più la tassazione aggiuntiva sui soldi cosiddetti evasi all’estero e “scudati” un paio di anni fa. Certo, però, annunciare una stretta sulle pensioni considerando il servizio militare e gli anni di università non utili ai fini del raggiungimento del requisito e poi accantonare la proposta dopo due giorni, significa non aver fatto una bella figura. A Cernobbio, come ogni anno, si è riunito il Gotha dell’economia e qualcuno, Sergio Romano, ha chiesto al presidente della Repubblica se non sarebbe meglio un governo tecnico in questa situazione.
La risposta è stata che in Italia non c’è la democrazia presidenziale, ma quella parlamentare, per cui finché un governo ha i numeri in Parlamento, è quello il legittimo governo. Napolitano ha comunque invitato maggioranza e opposizioni a prendere comuni responsabilità. Infine, l’economia Usa, che non va e trascina anche l’Europa nell’incertezza e nella crisi. Alcuni esperti sostengono che tra l’Europa e gli Usa non si sa chi è più debole dell’altro, ed è vero, ma resta il fatto che l’economia americana non tira più, è allo stallo, con oltre il 9% di disoccupazione. Stando così le cose, si teme una fase recessiva, con conseguenze pesanti sia sul piano sociale che finanziario.