“Sarà legge nei primi mesi del prossimo anno, tra febbraio e marzo. Poi ci vorranno sei mesi per i decreti legislativi. Entro un anno sarà applicata”.
Queste le parole del ministro Mariastella Gelmini al termine dell’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, della tanto attesa riforma dell’Università. Come di solito accade per le leggi di una certa importanza, ci sono i favorevoli e i contrari. Tra questi ultimi c’è Luciano Modica, responsabile Università del Pd, il quale ha dichiarato: “È ormai chiaro quale sia l’idea alla base delle scelte del governo, e cioè fare dell’Italia un Paese di serie b. Come definire altrimenti un Paese che cancella la ricerca dalle università?”.
Tra i favorevoli c’è il rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, che ha definito il testo della riforma “un’occasione fondamentale per più versi irripetibile”.
Ernesto Galli della Loggia, in un fondo sul Corriere della Sera, scrive che “per la prima volta da decenni si affronta la questione dell’università nel suo complesso e in modo organico, delineando una prospettiva riformatrice a 360 gradi”.
È, quello di Galli della Loggia, un commento autorevole che dà il via ad una legge che lancia una sfida al futuro dell’Università italiana e che dovrà bloccarne il declino (che nelle classifiche internazionali è certificato da un posto di retroguardia da parecchi anni), rilanciandola nell’efficienza e nella qualità. Il commentatore del Corriere individua la positività della riforma in tre “nodi decisivi”. Il primo “è rappresentato dalla questione della governance, cioè la questione di chi e come governa gli atenei”. La riforma limita ad 8 anni la durata dell’incarico di rettore per impedire la nascita delle baronie. In questo “nodo” rientrano “le disposizioni volte a limitare la proliferazione inconsulta di facoltà, sedi e corsi di laurea”.
Il secondo nodo decisivo è il reclutamento dei docenti. Per quelli più anziani “viene posto fine allo scandalo dei concorsi su base locale compiacentemente ad personam, e viene istituito per ogni raggruppamento di materia una lista di idoneità a numero limitato, decisa su base nazionale, da cui le singole facoltà dovranno attingere per la chiamata dei docenti”.
I ricercatori avranno un periodo di sei anni, tre + tre, al termine dei quali si entra in ruolo come docenti solo “in seguito a un giudizio anche questo nazionale”.
Il terzo nodo è lo statuto dei professori ordinari: “Qui la principale novità consiste in primo luogo nella possibilità di sottoporre a verifica la loro produzione scientifico-culturale nonché l’adempimento effettivo dei loro obblighi didattici; in secondo luogo nell’introduzione, finalmente, di una retribuzione almeno in parte modulabile a seconda del merito. D’ora in poi un premio Nobel e un docente assenteista e fannullone cesseranno di ricevere il medesimo stipendio”.
Galli della Loggia dice che la riforma è positiva ma perfettibile e lancia un messaggio, a tutte le forze politiche, a dialogare e a trovare una soluzione comune e concordata perché sull’Università non ci si può dividere. Più in dettaglio, al Senato accademico, che si occupa di formazione, cultura e didattica, sarà affiancato un consiglio di amministrazione formato da membri esterni nella misura del 40% che si occuperà dell’aspetto amministrativo e finanziario.
Il tempo del nuovo contratto dei professori è fissato in 1500 ore annue, di cui almeno 350 destinate ad attività di docenza. Per ogni ateneo il numero massimo delle facoltà è di 12.
I criteri alla base della riforma riguardano i seguenti aspetti: non ci sono aumenti uguali per tutti ma in base all’impegno e al risultato; l’università deve rendere conto di ciò che fa e produce; ciò che produce va sottoposto al giudizio, degli studenti, ma anche di commissioni di esperti; infine, non si può essere ricercatori a vita, ma questi devono dimostrare di valere.
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