Maledetto mostro degli immondi crateri dell’ Ade.
Scateni la tua vendetta nei momenti di vita più gai di quei meravigliosi presepi non distanti dai monti più alti d’Abruzzo.
Il solleone di una estate tropicale cuoce la grande metropoli immersa nel fetore dei rifiuti abbandonati lungo i viali dall’incuria popolare oramai disabituata al rispetto dell’ambiente e della natura e dal disimpegno dell’amministrazione pubblica che, avendo perso da tempo ogni credibilità, non ha la forza morale e civile per imporre il rispetto degli impegni assunti: tenere l’Urbe pulita nel solco del suo ruolo mondiale sul piano storico e religioso.
Che sollievo, per i sui cittadini, abbandonare Roma per un’ora, un giorno, una settimana.
Fuggire verso il vicino Tirreno, i lidi di Capalbio, Sabaudia, Ostia e Fiumicino e più su sino a scorgere le colline dell’isola d’Elba o Caprera ove dorme, immortale, il grande Giuseppe Garibaldi. Oppure, salire verso i colli dell’interno rietino e del viterbese dei monti Cimini alla ricerca delle origini: i villaggi presepe adagiati sui cocuzzoli come diamanti alla fede nuziale per indicare l’eterno amore all’ amata.
Lassù, molti di loro hanno lasciato un ricordo, un affetto, una casa paterna ove ritornare nel corso dell’anno a godere la frescura che scende dal monte a riempirti i polmoni di ossigeno, ridarti lo sprone per combattere i traumi del prossimo autunno.
Poveri cittadini dell’Urbe, vorrei dire, se non che il dramma di una capitale alla deriva, al cospetto degli attoniti osservatori esteri, viene da lontano: un cumulo miserabile di clientelismo e malcostume politico ammantato di false promesse e morgane ambizioni che si rinnovano nel tempo a prescindere da chi e perché è stato chiamato a reggere il Campidoglio dei Cesari.
L’ultima, ma solo per chi, lontano da Roma, è disinformato sulle vicende metropolitane, riguarda, appunto, l’annoso problema dei rifiuti. Non si sa più come e dove portarli se non fare ricorso ad accordi oltre confine – sarebbe meglio dire oltre le alpi, data l’esistenza dell’Unione europea, di cui facciamo parte- per organizzare il trasporto ferroviario del pattume verso la Germania con le conseguenze a tutti ben note:
I Lander tedeschi ammortizzano i costi della costruzione degli inceneritori, o termo valorizzatori, grazie agli esborsi italiani e assicurano ai loro cittadini costi limitati per la raccolta nonché un ambiente proprio e salubre, mentre le nostre regioni- non tutte, grazie a Dio, ed alla sapienza di alcuni – navigano nel gorgo di un debito pubblico incontrollato e incontrollabile.
Sono tra quelli che non si sono fasciati la testa di fronte alla travolgente ascesa dei 5 stelle al governo di Roma.
Mi sono detto: Bene! Vediamo un po’ se, oltre alla denuncia dei fallimenti precedenti, sanno indicare una nuova via e capacità di governo per la capitale.
I primi settanta giorni lasciano più di un dubbio e sono il primo ad esprimere profonda tristezza per quanto sta accadendo.
Mancano idee, risoluzioni, proposte su ogni e qualsiasi problema che riguardi il buon vivere dei cittadini dell’Urbe.
Della nettezza urbana, ho scritto.
Dei trasporti, meglio sarebbe adottare un prudente silenzio.
Nel frattempo si assiste al turpiloquio tra dirigenti già macchiati da precedenti fallimentari impegni nella capitale, richiamati, forse, per produrre altri danni alla città cosi tristemente colpita.
In una settimana o poco più, mezza giunta cittadina e stata dismessa senza che vi sia notizia di nuove nomine al servizio della cosa pubblica.
L’Urbe, si sa, conosce la cultura secolare dell’attesa.
Vive, rassegnata, il destino della sua eternità.
Nulla sembra scuoterla da quel suo cinismo che sa tanto di attendere, con un certo distacco, la sfilata dei carri dei prossimi invitti.
Cosa vuoi che sia?
Abbiamo conosciuto i Cesari, i Papi, l’impero parolaio di un certo Mussolini, di nome Benito, figlioccio dei re savoiardi.
Ma nulla è cambiato sui colli che vissero il duello mortale di Romolo e Remo, i suoi fondatori. Nel frattempo, i burini plebei dei colli e dei monti vicini sono rientrati dal breve e purtroppo, inatteso e mancato riposo.
Il mostro dell’Ade ha impedito il ristoro.
Frattanto, nell’Urbe, qualcuno si diletta parlando di un sogno di là da venire: l’Olimpia con “Panem et circenses”, e nuove magagne.
Purtroppo, la festa è finita.
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