Fu accusata di omicidio colposo, maltrattamenti e abbandono di minori ma la giuria l’ha assolta ritenendo il fatto un tragico incidente
Il giornale americano Guardian News ha pubblicato il racconto di Lyn Balfour, la donna che quattro anni fa dimenticò in macchina il figlioletto di nove mesi e quando se ne ricordò fu troppo tardi. Il bambino era morto di ipertermia, perché la temperatura esterna risalì fino a 19 gradi, ma nell’abitacolo pian piano aumentò fino a 43 gradi.
La donna era uscita quella mattina insieme al figlioletto collocato sul seggiolino, proprio dietro di sé, e il marito, seduto a fianco. Quella mattina il marito fu accompagnato da lei in macchina perché aveva dato la sua auto alla sorella della moglie. Dunque, durante il tragitto, i due coniugi parlarono tra di loro, mentre il figlioletto si assopì. Dopo aver scaricato il marito, la donna si diresse al lavoro, parcheggiò l’auto e salì in ufficio, dove cominciò a lavorare. Quella mattinata fu densa di attività, di telefonate, di conversazioni, a tal punto che mai le venne in mente che suo figlio si trovasse in macchina. Anzi, era convinta che stesse dalla babysitter, come capitava spesso. O era la babysitter che l’andava a prendere o era lei che glielo portava, salvo rare occasioni in cui non doveva andare a lavorare e dunque stava con suo figlio. Il quale, normalmente, in macchina gorgogliava, “si faceva sentire”, gesticolava. Quella mattina no, muto, assopito. Oltretutto, non stava sulla visuale dello specchio retrovisore in quanto era adagiato esattamente dietro di sé. Il suo sedile lo copriva interamente.
Durante le prime ore di lavoro, a dire la verità, sia la babysitter, sia lei, avevano tentato di telefonarsi, ma senza successo. Il telefono era sempre occupato. Lei, la babysitter, telefonava per accertarsi che Bryce, questo il nome del bambino, stesse meglio, dopo che nei giorni precedenti aveva avuto qualche problema di salute, di poco conto; lei, la madre, telefonava per sapere come stava, convinta che stesse dalla babysitter.
Gli psicologi li chiamano “falsi ricordi”: uno crede di ricordare una cosa, ne fissa anche i particolari, però il fatto non è avvenuto. O meglio: è avvenuto sì, ma in altra data. Una specie di sovrapposizione di ricordi senza che il secondo abbia consistenza reale.
Quando finalmente le due donne riuscirono a parlare, la babysitter chiese come stava Bryce e la madre, incredula, rispose: “Come sarebbe a dire? Il bambino è da te”. E la babysitter: “Lyn, non è qui da me. Non me l’hai portato stamattina”. Fu allora che la madre corse al parcheggio, ripercorrendo la successione degli avvenimenti di quella mattina. Tra questi c’era anche che lei aveva consegnato il bambino alla babysitter.
Quando, con il cuore che le batteva in petto, arrivò alla macchina, vide Bryce pallido e immobile. La temperatura nell’abitacolo era elevata. Lyn gridò di spavento, lo chiamò più volte, lo scosse, gli praticò la respirazione bocca a bocca ma Bryce era morto.
La donna era disperata, voleva essere lei al posto del bambino, non riusciva a darsi pace, le sfiorò il pensiero che non avrebbe avuto il coraggio di dirlo al marito che aveva ucciso il loro bambino, che difficilmente Jarret, il marito, l’avrebbe perdonata.
Quando Jarret arrivò in ospedale e trovò il figlio morto, urlò di dolore, la donna gli chiese scusa, ma poi il marito capì e la perdonò. I magistrati, invece, l’accusarono di omicidio colposo, maltrattamenti e abbandono di minori. Queste imputazioni furono ridotte a omicidio preterintenzionale. La giuria, però, l’ha assolta perché ha ritenuto che si sia trattato di un tragico incidente. Solo nel 2011 in America sono stati 49 i bambini dimenticati in macchina e morti
Ora Lyn ha quattro figli, il primo di 14 anni e altri tre giunti dopo la tragedia di Bryce.
Chi non l’assolve è la psicologa, che la mette di fronte ai “doveri mancati” e a un “modo di essere infantile”: “Non dimenticarsi un bambino in macchina è un dovere. Se te ne dimentichi, un delitto. La legge condannerà limitatamente, la vita continua, ma il giudizio deve pur essere dato ed è una constatazione: sei venuta meno a un dovere fondamentale”.