Niccolò Machiavelli: Il teorico della libertà e del potere popolare
All’inizio del 16° secolo, il filosofo fiorentino Niccolò Machiavelli ha aperto la strada al pensiero politico moderno. Si associa sovente il suo nome all’agire di governanti cinici e manipolatori. Costruita dai suoi detrattori, questa cinica reputazione nasconde un teorico autentico della libertà e del potere popolare. È persino impossibile contare gli studi, le biografie, i convegni ove si è celebrato, quest’ anno, ( purtroppo, pochi in Italia ) il cinquecentesimo anniversario de “Il Principe e di altre fondamentali opere del pensiero moderno” Dentro questo opuscolo consacrato all’arte di governo, Niccolò Macchiavelli espone senza sotterfugi “ ciò che è la sovranità, quale lo spazio, come raggiungerla, come perderla. Egli disvela, inoltre, i sistemi di gestione del potere e i fondamenti dell’autorità ciò che gli è valsa una reputazione distorta e contraddittoria e ha fatto della sua opera, “ il libro del pensiero politico”, il più letto e commentato da cinque secoli. Scritto nel 1513 e pubblicato postumo nel 1532 fu , come tutte le opere del fiorentino, messo all’indice dalla chiesa cattolica. Ma sarà più tardi, nel 1576, Innocent Gentillet, a stroncare il pensiero di Machiavelli inventando il termine “machiavellismo” come sistema perverso e maligno di esercizio del potere.
Il dotto scienziato e pensatore, Bertrand Russell, arriverà , nel secolo scorso, a definire il Principe “un manuale per gangsters”. Machiavelli passa nel gergo comune come il teorico cinico del potere e della tecnica di manipolazione, l’uomo che sussurra alle orecchie dei tiranni. Pertanto, il suo pensiero si presta a ben altre interpretazioni. Il principe è, secondo Jacques Rousseau, il libro dei repubblicani,. Per Antonio Gramsci Machiavelli lui medesimo si è fatto popolo. In una delle sue maggiori opere scritte “ i Discorsi sulla prima decade di Tito Livio”, pubblicata nel 1531, Machiavelli esamina, rileggendo la storia romana, i principi del regime repubblicano, dimostrandone la superiorità rispetto ai regimi dispotici o autoritari. Il “Principe” e i discorsi si articolano attorno alla medesima problematica: come instaurare e mantenere, cioè, un regime di autonomia e uguaglianza entro il quale sono esclusi i rapporti di dominio. Come costruire un libero stato fondato su delle leggi di interesse generale, delle regole di giustizia e di reciprocità per la realizzazione del bene comune. L’ obiettivo dell’opera “ il Principe”: riflettere sulle possibilità di ristabilire la repubblica a Firenze, minata in quegli anni dalle divisioni e dalla corruzione di massa, ed edificare uno stato sufficientemente forte per unificare l’Italia e liberarla dalle potenze straniere.
Il Principe si appella a tutti coloro in grado di realizzare un simile nobile obiettivo. Il “Principe” è un manuale d’azione per rispondere alle urgenze del momento politico e una riflessione sulla natura del potere in linea con l’ insegnamento in voga presso gli umanisti. Macchiavelli, nella sua opera, indica i precetti e i metodi da seguire per i fondatori di uno stato invertendo il tradizionale rapporto di subordinazione della politica alla morale in nome della verità effettiva dello stato di cose. In definitiva, l’arte di governare obbedisce a delle regole specifiche legate all’instabilità delle relazioni umane ( Gli uomini seguono i loro interessi e le loro passioni, da qui, le ambizioni) e all’irrazionalità della storia. Ogni dirigente deve conoscere tali regole per poter preservare e reggere lo stato. Definendo la politica come un campo d’azione e di riflessione autonoma sulla quale la morale non ha presa, Machiavelli declina, per citare il filosofo Louis Althusser, una veritabile rivoluzione del pensiero precursore della costituzione della scienza politica moderna.
È tale innovazione che gli ha procurato tanta inimicizia nonché una interpretazione distorta del suo pensiero politico. Gli uni gli rimproverano d’aver ideato i meccanismi del dominio, gli altri di aver distrutto, in nome dell’ efficacità dell’azione, gli stretti rapporti esistenti tra l’azione politica, la morale e la religione. Machiavelli, al contrario, sviluppa un’altra problematica essenziale.
Per lui ogni regime si fonda sull’opposizione fondamentale entro due grandi classi, o umori sociali, come lui li definisce, che ne determina la forma: il popolo ( la comunità dei cittadini ) da una parte e i grandi che costituiscono l’elite sociale, economica e politica. I secondi, minoritari , perseguono il dominio, la prima, il popolo, lo contesta. Per Machiavelli, per poter dirigere occorre scegliere un campo che non può essere che quello del popolo poiché i suoi obiettivi sono i più onesti. Da li ne consegue la scelta repubblicana contro la monarchia e il principato, basata sul riconoscimento politico del conflitto dentro lo stato. Mentre la stragrande maggioranza dei pensatori della sua epoca raccomandano forme di oligarchia illuminata, l’innovatore fiorentino preconizza l’instaurazione di una repubblica popolare (stato popolare) fondato sull’autorità suprema di una assemblea al cui interno siano rappresentati il popolo a pari dignità con i grandi ( l’elite) per il governo dello stato. Concludendo, potremmo dire: Machiavelli contro il machiavellismo di tutti quelli che hanno dato una interpretazione falsa e distorta del pensatore fiorentino tuttora in grado di indicarci un cammino virtuoso per il governo della cosa pubblica.