Tanti gli scenari ma al Senato nessuno ha la maggioranza assoluta, a meno che non ci sia una grande coalizione o un’alleanza a due Pd-Pdl o una cinquantina di senatori grillini non appoggino un governo Bersani di solo centrosinistra
Ed ora che le elezioni hanno dato, per effetto del premio, una maggioranza ampia al centrosinistra, che passa dal 29,53% dei voti al 55% dei seggi, cosa succederà? La domanda non si porrebbe se anche al Senato il centrosinistra avesse avuto più voti. O meglio: considerando la percentuale, ne ha ricevuta una più alta, seppure di 0,88 (31,60 del centrosinistra contro il 30,72 del centrodestra), ma il ,premio di maggioranza al Senato, come è noto, avviene non a livello nazionale ma a livello regionale, e il centrodestra, conquistando regioni piò popolose, ha potuto godere di un premio su un bacino di seggi maggiore, per cui, se non è prima coalizione al Senato, non ha la maggioranza nemmeno il centrosinistra.
In sostanza, al Senato esiste una maggioranza relativa ma non quella assoluta, come alla Camera, per cui la governabilità è problematica. Sommando i voti del centrosinistra e della Lista Monti si arriva a 137 voti, di gran lunga insufficienti per arrivare a 161 (maggioranza assoluta). I seggi al Senato, infatti, sono 315, più 5 senatori a vita, per un totale di 320 voti, il che significa, appunto, che ci vogliono 161 voti per la maggioranza assoluta. Annotiamo che anche se questi 161 voti ci fossero, non sarebbero comunque sufficienti per la stabilità, in quanto una maggioranza deve poter contare su numeri sicuri, ben oltre i 161 voti. Ecco allora alcune dichiarazioni e alcuni possibili scenari. Bersani, il probabile premier, ha detto che è una “situazione molto delicata” che va risolta nell’interesse dell’Italia. Monti ha parlato di risultato “cruciale”, volendo intendere che la sua lista, con 18 senatori, potrebbe essere determinante. Grillo ha subito tenuto a far sapere che “non ci saranno inciuci”. Berlusconi ha detto che “nuove elezioni non sono utili al Paese ”.
La prima ipotesi, dunque, quella di nuove elezioni solo al Senato, è da escludere, anche se la Costituzione ammette lo scioglimento di una sola Camera. Dal punto di vista politico, invece, è inimmaginabile, sia perché l’ondata di antipolitica potrebbe rendere ancora più ingovernabile il Paese con una vittoria di Grillo, sia perché il risultato potrebbe certificare ancora una volta l’assenza di una maggioranza chiara. L’ipotesi, dunque, di nuove elezioni a distanza ravvicinata, è da scartare. Semmai si andrà a nuove elezioni, lo si farà solo se il governo non dovesse reggere.
Seconda ipotesi, che poi era quella prefigurata prima delle elezioni: alleanza centrosinistra-Lista Monti. Quest’ipotesi non si regge sui numeri. Sommando, infatti, i seggi del centrosinistra (119) con quelli di Monti (18), si arriverebbe a 137, ben ontani dai 161 richiesti. Monti non è affatto determinante in un’alleanza a due, a meno che non si verifichi la sua idea, espressa prima delle elezioni, e cioè uno smottamento di una cinquantina di senatori che dal Pdl passerebbero a Monti. E’ un’ipotesi realistica? Pensiamo di no. Il Pdl non è più il partito stanco e strapazzato di un anno fa, è un partito ricaricato dalla rimonta impressa da Berlusconi, perciò difficilmente i senatori Pdl farebbero a cuor leggero un passo del genere, anche perché, presumiamo, gli eletti sono motivati nella fedeltà al partito.
Resta la grande coalizione, formata da centrosinistra, centrodestra e Monti, in sostanza la stessa alleanza – questa volta, però, decisa in seguito ad un patto di governo – che si era formata impropriamente e per forza di cose nel novembre del 2011 con Pdl, Udc e Pd che sostenevano Monti. Sulla carta potrebbe essere un’alleanza possibile, magari con Renzi al posto di Bersani come presidente del Consiglio, e con ministri di tutti e tre gli schieramenti, seppure con un bilancino rapportato ai voti. Un’alleanza a termine, magari due-tre anni, per fare per davvero le riforme e far finalmente progredire il livello di maturazione delle forze politiche italiane.
In linea teorica, dunque, sarebbe possibile, oltre che auspicabile, ma gli ostacoli sono molti. Il centrodestra potrebbe sostenere una grande coalizione senza spaccarsi? Certo, se il premier non fosse Monti – ormai inviso a tutti – potrebbe anche darsi che la Lega lo appoggi, ma insomma, la questione è ancora da vedere. Se la Lega non fosse disponibile, neanche Berlusconi potrebbe fare un passo del genere senza pregiudicare la futura alleanza con la Lega. D’altra parte, gli stessi dubbi ci sarebbero a sinistra: Vendola potrebbe appoggiare una maggioranza con la Lega e il Pdl? Dubitiamo, dovrebbe rimangiarsi ogni dichiarazione finora fatta solennemente davanti all’opinione pubblica.
Un’altra ipotesi, che è una variante di quella precedente, potrebbe essere un’alleanza Pd-Pdl, che al Senato avrebbe più di 200 voti. Un’ipotesi del genere, in un certo senso avallata dallo stesso Berlusconi quando ha dichiarato “Un accordo col Pd? Ora riflettere”, sulla carta avrebbe i numeri, ma pensiamo che le polemiche e gli odi alla fine prevarranno sulla razionalità e sulla fattibilità dell’idea. Insomma, la vediamo difficile, se non impossibile.
Più fattibile – ma siamo sempre nell’ambito delle ipotesi – che il M5S possa appoggiare un governo Bersani o che una cinquantina di senatori di Grillo si distaccassero dal M5S e lo appoggiassero al Senato. In fondo, molti elettori di Grillo e anche molti eletti, si troverebbero a disagio con Monti, ma non con Bersani e Vendola.