È stata una ”grande sorpresa” per l’attivista pakistana Malala Yousafzai ricevere il Nobel per la Pace, al quale era stata candidata anche lo scorso anno. Lo ha dichiarato la 17enne nel corso di una conferenza stampa a Birmingham, dove vive e studia dopo essere stata ricoverata per le ferite alla testa riportate dopo l’attentato subito il 9 ottobre di due anni fa ad opera dei Talebani. Malala, che stava seguendo una lezione di chimica quando le è stato annunciato il riconoscimento, spiega di essere ”onorata” per aver ricevuto il ”prezioso” Nobel che, dice, ”mi rende più forte e coraggiosa”. ”Sono davvero felice di condividere questo premio con una persona dell’India”, ha aggiunto, scherzando sul fatto che non è in grado di pronunciare il cognome di Kailal Satyarthi, l’attivista insignito insieme a lei del Premio Nobel per la Pace. Il premio Nobel per la pace alla pachistana Malala e all’indiano Satyarthi è un chiaro suggerimento del Comitato norvegese perché India e Pakistan mettano fine a decenni di rivalità, che hanno portato a tre conflitti armati. Il solo fatto di premiarli, un hindu e una musulmana uniti nella stessa lotta per l’istruzione dei bambini, assume una fortissima valenza simbolica, che non sfugge a nessuno nel subcontinente indiano. Vedere i loro volti nel ritratto ufficiale diffuso dal comitato del Nobel, come fossero una coppia consolidata, è di per sé un’immagine molto potente, che sarà rilanciata quando andranno assieme a ritirare il premio. Kailash Satyarthi ha colto al volo l’occasione, invitando subito Malala Yousufzai a lavorare insieme per la pace fra i loro due paesi: “La invito a unire le nostre mani nella nuova battaglia per la pace nel subcontinente”. “Congratulazioni Pakistan e India”, si legge intanto sul sito pachistano Dawn. “Il premio Nobel per la pace a Malala e Satyarthi è una spinta a metter fine alla rivalità fra India e Pakistan, titola in India l’Hindustan Times. E il sito indiano Firstpost si chiede se questo Nobel “non imbarazza i due eserciti belligeranti e non li porta ad un cessate il fuoco, cos’altro potrà farlo?”. Entrambi potenze atomiche, India e Pakistan sono frutto della spartizione che seguì la fine del dominio britannico del 1947, lasciando una serie di frutti avvelenati. Decine di milioni di persone sono fuggite o sono state espulse per fare del Pakistan un paese di musulmani e l’India un paese prevalentemente hindu. Delle tre guerre che da allora sono scoppiate fra i paesi vicini, ben due sono state causate dalla disputa territoriale sul Kashmir. Un confine non riconosciuto lungo il quale si continua a sparare.
Lotta all’Is, la Turchia concede l’uso delle basi agli Usa
I curdi combatteranno ”fino all’ultima goccia di sangue” contro i jihadisti dello Stato islamico (Is). Lo ha detto il presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani in un’intervista a Sky News Arabia, dicendo che la Turchia resta un Paese ”amico” nonostante non abbia consentito l’invio di aiuti militari ai curdi a Kobane. Barzani afferma comunque che a inizio agosto Ankara ha inviato un carico di armi dopo che le zone curde dell’Iraq sono state attaccate dallo Stato islamico, ”ma ci hanno chiesto di non renderlo pubblico”. ”Stiamo combattendo un’organizzazione terroristica che ha le potenzialità di uno Stato e i peshmerga sono ora l’unica forza in grado di fronteggiare l’Is e di fermare la sua avanzata – ha detto – Il nostro piano è di combattere contro l’Is fino all’ultima goccia di sangue”, in collaborazione con il governo di Baghdad e con la coalizione internazionale guidata dagli Usa. Parlando dello Stato islamico (Is), Barzani afferma che si tratta di una ”organizzazione terroristica violenta” nella quale ”ci sono centinaia di europei e americani”. Il presidente curdo parla di jihadisti provenienti ”da Europa, Usa, Africa, Australia, Asia e molti Paesi”. In merito ai combattimenti in corso a Kobane, città siriana a maggioranza curda vicina al confine con la Turchia, Barzani spiega di ”augurarsi di avere la capacità militare di raggiungere Kobane via aria entro qualche ora”. ”Il Pkk ha un grande ruolo nella difesa di Kobane, ma non tutti coloro che stanno combattendo lì sono del Pkk. Ci sono molti indipendenti che difendono la città”, ha detto il presidente curdo.