Nelle sale il documentario sul mito del calciatore che ha fatto sognare Napoli
Dopo trent’anni dal primo scudetto, è arrivato nelle sale il documentario di Alessio Maria Federici che regala uno spaccato della storia ‘napoletana’ del fenomeno argentino, delle sette stagioni che hanno segnato la città partenopea tanto da convincere alcuni napoletani che ‘San Gennaro ha un complice argentino’ e che ‘Maradona è un napoletano nato all’estero’. Nei 75 minuti del docufilm che racconta il legame simbiotico tra il Pibe de Oro e la città campana, le scene di repertorio sono davvero pochissime e il racconto del mito è affidato ai ricordi e alla voce degli stessi partenopei: aneddoti, storia e racconti di emozioni che il calciatore ha lasciato nei cuori di tifosi e non che danno vita ad una favola moderna che solo chi ha conosciuto la realtà napoletana del tempo può forse comprendere fino in fondo.
Una Napoli segnata dal terremoto del 1980 che vide nei trionfi calcistici una riappropriazione di identità: “Da romano (e romanista), difficilmente riesco a capire o condividere un amore e una devozione così sfrenati anche a decenni di distanza, e che sembrano non sopirsi mai, ma questo è il grande pregio della pellicola, riuscire ad arrivare a tutti, senza la pretesa di convincere lo spettatore di un amore a lui sconosciuto, ma raccontando semplicemente quella passione che esula dal tipo di sport per cui tifiamo o dal colore della pelle. Una passione che ha salvato la città in uno dei suoi momenti più difficili, regalandole anche l’identità di cui parlavo poco sopra”, ha commentato il regista Federici, cui va il merito di non aver ripiegato su un film su Maradona, ma di aver realizzato un film prima di tutto su Napoli, e poi su come Napoli ha vissuto Maradona attraverso le emozioni e i ricordi dei suoi protagonisti. Un lavoro cui va attribuito anche un ulteriore merito: quello di trasformare lo sport in letteratura e storia, catturando così anche chi tifoso non è. Nei sette anni di Maradona a Napoli la squadra ha vinto due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa e una Supercoppa italiana: “Il calcio è un grande ammortizzatore sociale, Maradona l’aveva capito bene.
Per noi che non vinciamo mai, e dico noi da romanista, la vittoria ha un sapore impossibile da raccontare”, ha continuato il regista. Sapore che invece hanno raccontato benissimo i protagonisti di questo documentario: ingegneri e camionisti, pasticcieri e tatuatori, padri e figli, mariti e mogli, tutti impegnati a descrivere quel fenomeno che li ha resi diversi da come erano prima del 30 giugno 1984, giorno in cui il campione venne ufficialmente acquistato dall’allora presidente della squadra Corrado Ferlaino. “Il docufilm è nato come progetto un paio di anni fa insieme a un gruppo di autori. All’inizio volevamo fare un libro fotografico, che poi è stato riconvertito in un progetto cinematografico. Girando per Napoli si capisce quanto questa figura sia onnipresente, soprattutto nel centro storico: murales, scritte, fotografie, memorabilia. Lui del resto deve tantissimo a questa città.
Avesse giocato altrove, avrebbe vinto molto di più, ma non sarebbe diventato quell’icona che è andata oltre al calcio, non avrebbe avuto quella simbiosi con la città. E considera che quella era una Napoli un po’ grigia, depressa: c’era appena stato il terremoto, a metà anni’70 addirittura il colera, erano anni in cui Cutolo era in carcere e si era nel pieno della guerra di camorra. Era una città senza grossi punti di riferimento. Quando arriva lui succede qualcosa di mai successo prima: Maradona fa vincere per la prima volta questa città. Il film aiuta a capire certi meccanismi scattati grazie a Maradona: tratta una grandissima varietà sociale, abbiamo infatti intervistato il milionario di Posillipo e il parcheggiatore abusivo, e effettivamente il calcio riesce ad annullare le differenze sociali. Uno si aspetterebbe più trasporto dal parcheggiatore, e invece la stessa passione emerge anche dalle classi sociali più alte. Ognuno ha raccontato il proprio, privato, Maradona, la sensazione di una partita, un aneddoto di quegli anni, la volta in cui lo hanno incontrato”, ha raccontato Jvan Sica, uno degli sceneggiatori di questa favola moderna.
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