Con l’approvazione della legge sulla stabilità e le prime misure della lettera all’Europa Berlusconi si dimette da premier e favorisce la soluzione del governo del Presidente Napolitano
Da una parte l’ovazione dei deputati della maggioranza al suo ultimo ingresso alla Camera da presidente del Consiglio, dall’altra una protesta organizzata dalla sinistra con cori d’insulti, lancio di monetine e gesti volgari davanti al Quirinale e a Palazzo Grazioli, al momento dell’arrivo di Berlusconi: è questa la fotografia dell’Italia divisa in due. La presenza di Di Pietro che viene immortalato in un gesto di volgarità all’indirizzo dell’ex presidente del Consiglio la dice lunga sul clima di odio che ha contraddistinto l’era berlusconiana che si è chiusa sabato 12 novembre con l’approvazione prima al Senato e poi alla Camera della legge sulla stabilità e la prima parte delle misure chieste dall’Europa. Tra queste figurano l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni entro il 2026, la dismissione di immobili statali il cui ricavato andrà alla riduzione del debito pubblico, la riforma degli ordini professionali da attuare entro il termine di dodici mesi e la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e del trasporto pubblico locale. Berlusconi ha voluto far coincidere la fine del suo incarico di premier con quest’atto di “responsabilità di fronte agli impegni assunti con la lettera all’Europa”, fine del suo mandato che è stato preceduto da due manovre per il pareggio di bilancio entro il 2013 e per la tenuta dei conti dell’Italia. Anche Napolitano, annunciando di aver dato l’incarico a Monti, ha parlato di dimissioni “correttamente date” e di consolidamento e miglioramento della tenuta economica” per battere l’emergenza. Berlusconi è stato accusato di aver sottovalutato la crisi economica mondiale e di non aver fatto le riforme strutturali che avrebbero dovuto rimettere in moto l’economia. C’è del vero in questa critica, ma c’è anche del falso. Il vero consiste nel fatto che non è riuscito a farle, il falso consiste nel fatto che ad accusarlo sono proprio coloro che hanno impedito di farle. Nel 2002 propose di congelare per tre anni l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per accrescere l’occupazione: la risposta dei sindacati fu una manifestazione oceanica al Circo Massimo a Roma con tutti i boicottaggi parlamentari e mediatici. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ci ha ritentato quest’anno con l’articolo 8 inserito nella manovra finanziaria di agosto, con i contratti aziendali tra lavoratore e azienda, ma un accordo Confindustria-Sindacati ha svuotato la proposta, provocando tra l’altro l’uscita di Fiat dalla Confindustria. Si ricorderà certamente che a giugno dello scorso anno, dopo una campagna di informazione giudicata fuorviante anche dall’ex ministro Bassanini, Pd, il popolo ha rifiutato la già approvata legge sulla privatizzazione della gestione della rete idrica, che sicuramente tornerà d’attualità in un prossimo futuro, e il ritorno al nucleare, tema che probabilmente fra alcuni anni si riproporrà. Nel 2005 fu approvata la riforma istituzionale che tra le altre novità prevedeva il Senato delle Regioni e la diminuzione dei parlamentari. Ebbene, il 25 giugno del 2006 il referendum promosso da coloro che ora dicono che Berlusconi non ha fatto le riforme annullò quella riforma. La realtà è che Berlusconi è caduto da una parte per la fuoriuscita di un gruppo di deputati dello stesso Pdl e dall’altra a causa dell’assalto della speculazione internazionale al debito pubblico italiano, il vero problema dell’Italia, di cui però è responsabile la classe politica dagli anni Settanta in poi. Debito pubblico, tra l’altro, che si potrà abbattere solo con i contenuti della lettera all’Europa. Per ora ci interessa mettere l’accento sul fatto che una parte del Pdl voleva le elezioni subito, un’altra parte voleva il governo d’emergenza di Monti fino alla fine della legislatura Berlusconi che ha tenuto unito il suo partito e nello stesso tempo ha favorito la soluzione Monti che è un governo del Presidente Napolitano per fare quelle riforme che Berlusconi non è riuscito a fare e che la sinistra non ha mai voluto e che forse ora sarà costretta ad ingoiare, pena il fallimento di Monti e l’aggravarsi della crisi. E a questo punto, archiviata l’era di Berlusconi, si apre la nuova fase di transizione. Mario Monti e il suo governo fatto di tecnici seri e competenti – come lui stesso, del resto, che è dotato di grande prestigio internazionale e che proprio per questo è diventato l’uomo giusto senza i condizionamenti politici ed elettorali – dovrà approvare almeno un paio di tutti quei provvedimenti importanti chiesti dall’Europa: la riforma del lavoro e l’eliminazione della vastissima galassia degli sprechi e dei privilegi che riguardano i politici e la pubblica amministrazione, oltre che il completamento delle misure chieste dall’Europa. Ce la farà? Pensiamo di sì, a condizione che tiri dritto per lo scopo per il quale ha ricevuto l’incarico, senza farsi condizionare da interessi partitici ed elettorali, altrimenti tutta l’operazione non sarebbe altro che un ribaltone andato in porto. Ce la dovrà fare, anche perché se fallisce, sarà l’Italia a fallire e a ritrovarsi nel vortice di una crisi ancora più grave e con una moneta, l’euro, su cui già in pochi in Europa scommettono. 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