Messo da parte Bossi e i suoi (ancora numerosi) seguaci, la nuova leadership detta le regole: chi non ci sta è fuori
“La pulizia è fatta, ora via alla fase due: fare politica”: è il giudizio di Roberto Maroni, che in un altro comizio ha aggiunto un “quasi”, cioè “pulizia quasi fatta”, alludendo a qualche dimissione non ancora presentata, in particolare quella dell’assessore allo sport Monica Rizzi. Neutralizzati Renzo Bossi, Reguzzoni (ancora capogruppo alla Camera), Bricolo (ancora capogruppo al Senato), espulsi Belsito (ex tesoriere, protagonista e vittima della bufera che si è abbattuta sulla Lega Nord per la gestione personale e ad uso personale dei rimborsi elettorali) e Rosi Mauro, Roberto Maroni si è impadronito della Lega e marcia spedito e deciso verso il congresso di fine giugno-inizio luglio, quando cambierà anche visivamente un’epoca: fine dell’éra Bossi, inizio dell’éra Maroni. Il quale si è risparmiato la fatica di espellere Renzo Bossi perché quest’ultimo si era già dimesso da consigliere regionale lombardo. Maroni ha anche graziato Bossi padre, forse perché espellerlo sarebbe stato uno sbaglio di fronte ai militanti che per Bossi si farebbero ancora calare nell’acqua bollente, ma non ha graziato Rosi Mauro, una leghista della prima ora entrata negli ultimi anni a far parte del cosiddetto “cerchio magico”, cioè della schiera dei leghisti che gestivano il partito a nome di Bossi ma senza che questi – almeno così si dice – sapesse cosa realmente facevano. Forse non è così, Bossi sapeva eccome, ma cercava di resistere sia ai guai della sua malattia, sia al logoramento politico che indirettamente da quella proveniva. Roberto Maroni, nel fare pulizia, è stato un panzer, ha unito il piglio decisionista alla rapidità, per ridare forza e vigore alla Lega e per staccare materialmente e visivamente la parte giudiziaria che investirà le singole persone e segnerà il destino oscuro di chi ha commesso reati da quella politica, con una nuova gestione che sarà da lui impersonata già prima di essere acclamato dal congresso. Ad avvalorare quest’impressione di pulizia e di forza della Lega formato Maroni sono i contatti avuti con Formigoni, a cui ha chiesto di voler procedere ad una nuova giunta lombarda senza gli assessori compromessi con la vecchia gestione bossiana pur senza aver commesso nessun reato. Maroni, infatti, vuole accreditare da subito la nuova Lega e abbandonare la vecchia Lega di Bossi, nella speranza di non pagare nessuno scotto elettorale.
Probabilmente Maroni ci riuscirà. Intendiamoci, l’ex ministro del Lavoro del governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006, ex ministro degli Interni dell’ultimo governo Berlusconi (2008-novembre 2011), lo meriterebbe. Il personaggio è deciso – e lo ha dimostrato nelle ultime settimane durante la bufera giudiziaria che si è abbattuta sulla vecchia gestione della Lega – ed è anche capace, perché sia come ministro del Lavoro che come ministro degli Interni ha ben operato, è stato una garanzia istituzionale e un ottimo ministro, autore prima di una riforma delle pensioni che portava l’età sempre più in alto (il gradone fu poi soppresso da Prodi al punto che Monti è stato costretto a fare una riforma più severa), poi di una serie di misure per garantire l’ordine e il decoro pubblici, la gestione dell’immigrazione compatibile con un modello che col permesso, il lavoro e una casa garantisce la dignità all’immigrato. Roberto Maroni, dicevamo, sicuramente avrà davanti a sé un luminoso avvenire politico per i suoi meriti personali, sempre che sappia gestire il dialogo con chi deciderà di allearsi, ma dobbiamo confessare che non ci è piaciuto quel piglio autoritario con Rosi Mauro, rea non di aver commesso dei reati (nessuno più l’accusa dopo che era stata bersagliata di notizie non vere sul suo conto e dopo che lei stessa aveva dato in tv risposte convincenti su singoli episodi), ma di non aver obbedito alle decisioni del Consiglio federale della Lega o, per meglio dire, al capriccio di Maroni stesso, di dimettersi da vice presidente del Senato. Si chiedono le dimissioni da un’alta carica se uno ha commesso dei reati, ma se non li ha commessi e lo dimostra, la richiesta di dimissioni diventa un atto di autoritarismo. Pare che Rosi Mauro, durante il periodo d’oro della Lega, si sia comportata con i suoi nemici interni come Maroni si è comportata con lei. Se questo è vero, vuol dire che la massima del Vangelo (“chi di spada ferisce, di spada perisce”) mostra una grande attualità, ma ciò non toglie che atti simili non abbiano nulla a che vedere con la dignità di chi li subisce e di chi li compie. Nel mirino di Maroni pare ci sia l’altro triunviro, Roberto Calderoli, ma forse al generale Maroni conviene non tirare troppo la corda. Va bene ridare un’immagine di salute e di trasparenza alla Lega, ma se si creano due Leghe, alla fine resteranno solo le macerie. La bufera giudiziaria sulla gestione dei rimborsi elettorali della Lega, sopraggiunta dopo quella di Lusi, amministratore (infedele) della Margherita e dopo i casi di tangenti in varie parti d’Italia e in tutti i partiti, mostra che la pulizia è più declamata che praticata.
Fini che dice di voler annullare i benefit agli ex presidenti della Camera e poi li proroga di dieci anni dopo la fine dell’incarico; i partiti che sotto la spinta delle inchieste promettono di rivedere la materia e poi se ne scordano subito dopo; tutto questo e tanto altro fa esplodere il problema della credibilità e dell’onestà nella gestione della cosa pubblica. O si cambia o si va a fondo.