La Gran Bretagna di David Cameron ha appena approvato il matrimonio gay, spaccando a metà i conservatori e ottenendo la metà dei voti dei laburisti; la Francia di François Hollande, malgrado un’opposizione sociale molto forte, al punto da scendere in piazza in massa a gridare il suo “no”, sta per approvarlo; in Germania esiste già da tempo il riconoscimento giuridico delle coppie gay; la cattolica Spagna ha preceduto tutti riconoscendo il matrimonio gay nell’ordinamento giuridico dello Stato, senza che il suo successore, il popolare Mariano Rajoy, abbia fatto qualcosa per cancellarlo. E in Italia? Il nostro Paese sarà uno dei pochi in cui questo tema resterà tabù o i tempi sono maturi per un provvedimento legislativo?
In Parlamento si è cominciato a parlare del riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, etero ed omosessuali, nella seconda metà degli anni Novanta, ma non si è arrivati a nessuna conclusione, sia perché in Italia il Vaticano ha sempre esercitato una grande influenza su materie di questo genere, sia, forse, anche perché i parlamentari cattolici, presenti in tutti i partiti, furono più realisti del re e sia, infine, perché i cattolici di sinistra erano nell’Ulivo e, temendo di essere proprio loro a scavare fossati con il Vaticano e le gerarchie religiose, fecero arenare il dibattito. Che nel 2006, con l’Unione al governo, fu ripreso per essere seppellito subito dopo.
Ora, abbiamo citato la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, la Spagna – ma altri Paesi del Centro-Nord dell’Europa hanno una legge ad hoc – per dire che il vento in Europa va in quella direzione e difficilmente l’argomento potrà essere arrestato e prima o poi tornerà prepotentemente anche in Italia all’ordine del giorno, nella società e soprattutto in Parlamento.
Chi mostra di averlo capito molto bene è proprio la Chiesa cattolica che, all’indomani del matrimonio per i gay approvato in Gran Bretagna – tra l’altro senza che ciò sia un obbligo per i religiosi a celebrarlo anche in Chiesa – ha preso atto della inevitabilità della questione ed è corsa ai ripari. In che modo? Ribadendo, per bocca di Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio della famiglia, alcuni concetti, fondamentali per la Chiesa stessa, e cioè che il matrimonio (munus matris, cioè dono di maternità) è l’unione di un uomo e una donna il cui scopo fondativo non è solo l’amore, ma anche la procreazione, sicché la famiglia è un insieme di valori su cui si fonda una sana società. Però Monsignor Paglia ha aggiunto che “di fronte al moltiplicarsi delle convivenze non familiari si ritiene importante un intervento”, già tra l’altro suggerito nel 2005 dal cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei, e che riguarda ”il versante dei diritti individuali”.
La Chiesa afferma che tutti gli uomini, indistintamente, “sono amati da Dio” ed hanno “pari dignità” ma che “il matrimonio è solo l’unione di un uomo e di una donna”. Chi ha orecchi per intendere, intenda. Con le dichiarazioni di Monsignor Paglia, la Chiesa ha dato chiaramente il via al riconoscimento giuridico delle “unioni non familiari” – nessuna confusione, dunque, tra le “unioni non familiari” e il “matrimonio” – per il riconoscimento di “diritti patrimoniali e civili”. Più chiaro di così si muore. Appena insediato, proprio i parlamentari cattolici di tutti i partiti farebbero bene a dare seguito a queste indicazioni con un provvedimento di legge specifico, e le organizzazioni dei gay farebbero bene ad accontentarsi della legge possibile e a non pretendere la legge impossibile, col rischio concreto di non ottenere nulla.