L’età dei dirigenti politici italiani nel giro di due anni si è abbassata. E’ un fenomeno che riguarda tutti (o quasi) i partiti. Prima c’erano a sinistra Bersani-Epifani, Bertinotti-Vendola, Di Pietro, tutti sessantenni o più, ad eccezione di Vendola, comunque non un ragazzino; a destra Berlusconi, Fini, Cesa-Casini, Bossi. Ad eccezione di Berlusconi e Bossi, (ultra) settantenni, gli altri due comunque navigano nei paraggi dei 60. Ebbene, Renzi ha 38 anni, il capo del governo sui 40, Vendola, circa 50. Nel Pd Renzi e Civati, candidati alla segreteria, indipendentemente da chi ha vinto, sono tutti piuttosto giovani. Segretario, capo del governo e membri della segreteria: tutti giovani e nuovi. A destra Giorgia Meloni, Fdi, e Salvini, Lega, sono giovani, lo è anche Alfano, probabilmente lo sarà qualcuno di Forza Italia, quando avrà il via da Berlusconi che veleggia verso gli 80. Casini-Cesa sono inossidabili ma senza storia. Abbiamo dimenticato certamente qualcuno, ma l’assunto è evidente: l’età media si è considerevolmente abbassata. La domanda è: oltre che giovani, sono davvero portatori di cambiamento?
Qui il dubbio esiste. In realtà, a destra ci sono meno prospettive che a sinistra. Non crediamo che Giorgia Meloni abbia un grande avvenire; Salvini sarà anche bravo, ma la Lega viaggia sul 3-4%, non sembra possa prefigurare una prospettiva. Berlusconi in quanto persona ha tanti voti (circa il 20%), utili per fare da collant a una coalizione di centrodestra, ma ormai il suo è il ruolo del traghettatore (come Epifani), fra cinque anni politicamente non ci sarà più. Alfano ha mostrato di avere il quid, ha rinnovato il centrodestra, magari crescerà ancora, politicamente e elettoralmente, ma dubitiamo che sarà il Berlusconi della belle époque o il Renzi di questi giorni. Appunto, a sinistra, Renzi è il vero uomo nuovo, lo potrebbe essere anche Letta, ma la democristianità di quest’ultimo non ne farà un grande leader. Lo si capisce dall’annuncio che fece nel mese di ottobre quando sentenziò solennemente: “Abbiamo deciso di assumere cinquecento giovani per la digitalizzazione del patrimonio culturale italiano”. Un annuncio altisonante, ma oggi che si conosce il bando di quel concorso – non 500 posti di lavoro, ma un tirocinio della durata di un anno non rinnovabili per posti a tempo pieno a 416 euro lordi al mese – si capisce che è una grande presa in giro. E veniamo a Renzi, vero motore dello scossone nel Pd e nella politica italiana.
Quando Renzi dice al governo: o si cambia o tutti a casa; qualsiasi legge elettorale va bene, purché la si faccia e soprattutto voglio sapere dopo le elezioni chi vince e chi perde; il Senato va abolito, come vanno abolite le Province, via gli sprechi, a cominciare dalla politica, dobbiamo dare l’esempio, e via di questo passo. Ebbene, non solo ha ragione, ma sembra avere la caratura e la determinazione a fare quello che dice. Come lo dice, poi, rivela una tensione morale e ideale molto forte nel perseguire i risultati. Su questo non c’è alcun dubbio, ma la domanda è: riuscirà a fare quello che dice? E soprattutto glielo faranno fare? Luca Ricolfi, su La Stampa, prendendo spunto da una lettera di Piero Ichino a Renzi, dice che quest’ultimo, su una serie di punti fondamentali “è diventato guardingo, sfuggente e astuto”, ha fatto annunci, ma generici. Ora, a toccare i problemi con i titoli e non entrare nel dettaglio di proposte concrete, ad esempio, sulle regole, sulla pubblica amministrazione o sul mercato del lavoro, si rischia di vincere ma non di cambiare davvero le regole del gioco. Anche Berlusconi voleva cambiare nel 2002 il mercato del lavoro, anche Monti nel 2012 lo voleva fare, ma non ci sono riusciti, prima perché si oppose Cofferato, poi si oppose Camusso. Molti sono saliti sul carro del vincitore. Renzi li “asfalterà” o sarà “asfaltato”? E’ questa la vera sfida. Non per nulla D’Alema ha detto: “ne ho viste tante di meteore”. Se sarà una meteora o il personaggio del secolo (ha 38 anni ed è già segretario del Pd e quasi premier) solo da lui dipenderà.