Approvato con voto di fiducia il decreto ”svuota” o ”salva” carceri che prevede i domiciliari per coloro che devono scontare gli ultimi 18 mesi, i domiciliari o le camere di sicurezza nelle questure per reati minori e in attesa del processo per direttissima
Fiducia alla Camera con 420 sì, 78 no e 35 astenuti sul decreto cosiddetto ”svuota” carceri, ma che il ministro della Giustizia Paola Severino preferisce chiamare ”salva” carceri. Ecco le sue parole: ”Non è una resa dello Stato né uno scaricabarile. Il decreto ”salva” le carceri dal degrado perché restituisce dignità a chi è ristretto in cella. Definire ”svuota” carceri questo decreto del governo ha destato allarme sociale perché i cittadini che non ne conoscono il contenuto hanno immaginato che a seguito della sua applicazione le carceri si sarebbero svuotate”. I no sono stati della Lega e dell’Idv, che hanno definito il provvedimento ”un’amnistia mascherata”. Al di là del merito del problema, si continua ad affrontare un problema reale – il sovraffollamento delle carceri che possono contenere 45 mila detenuti e invece ne contengono 68 mila, cioè tante persone in una cella che già ne prevede in media tre – con soluzioni anomale. Al posto, cioè, di costruire nuovi penitenziari, si fanno uscire i detenuti, che è un messaggio che non va nella direzione della certezza della pena. Ciò detto, il decreto prevede che il magistrato possa ”valutare se il detenuto è meritevole di ottenere il beneficio per il venir meno della sua pericolosità sociale”. Il beneficio consiste nel trascorrere gli ultimi diciotto mesi della detenzione ai domiciliari. In questo modo, da qui al 2013 potrebbero uscire dal carcere e restare ai domiciliari circa 3500 detenuti. Nel 2010 il decreto Alfano differiva da questo di adesso nel limite di tempo da trascorrere ai domiciliari: Alfano ha previsto 12 mesi, Severino 18. Il decreto non è un’amnistia, cioè un condono della pena, è una misura ragionata in assenza di nuovi penitenziari. Il decreto, però, prevede altre due misure di un certo rilievo. La prima è la concessione dei domiciliari per coloro che sono colti in flagranza di reato – si parla di reati cosiddetti minori – in attesa del giudizio per direttissima.
L’alternativa ai domiciliari può essere una detenzione non nel carcere ma nelle camere di sicurezza di questure e di caserme, salvo che il magistrato non disponga l’arresto in carcere. Le due alternative all’arresto in prigione è motivato dal fatto che chi viene arrestato per un reato minore, di solito entra in carcere e poi ne esce due o più giorni dopo, sia perché il reato è minore, sia perché essendo stato colto in flagranza, non solo non può inquinare le prove, ma un’eventuale condanna può non contemplare il carcere per condizionale e attenuanti varie. Dunque, anche questo secondo argomento va nella direzione di rendere il carcere più vivibile grazie al minor numero di detenuti. In realtà è la terza misura quella che ha fatto discutere più delle altre. Il decreto, infatti, prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, sei in tutto, con passaggio degli internati sotto il controllo delle Regioni. A giudizio del ministro, ”Nessuno ha mai pensato di rilasciare in libertà persone pericolose; lo stato della detenzione rimarrà per i malati con disturbi mentali che hanno compiuto delitti, ma con questa riforma sarà comunque incentivata la loro cura”. Il provvedimento è molto discusso e discutibile. L’eurodeputata del Pdl Licia Ronzulli ha detto: ”Si sta ripetendo lo scempio commesso con la legge Basaglia”. Nessuno, aggiunge l’eurodeputata, farebbe mai un trasloco senza prima avere a disposizione un nuovo appartamento. Le Regioni non hanno, infatti, le strutture adatte e non saranno presumibilmente pronte entro il 31 marzo del 2013, quando i sei ospedali psichiatrici giudiziari dovranno chiudere per legge. Secondo Marino, Pd, dei 1400 detenuti 900 sono stati riconosciuti pericolosi e verranno trasferiti in nuove strutture che dovranno sorgere a cura delle Regioni; gli altri 500 saranno assistiti dai dipartimenti di salute mentale. Dati i precedenti e data la ristrettezza dei tempi necessari perché le Regioni creino queste nuove strutture, è normale che le famiglie di questi detenuti siano in allarme. Alla fine i costi, umani e finanziari, potrebbero ricadere su di loro. Il decreto, che prevede anche 57 milioni per l’edilizia carceraria, dovrà ritornare al Senato per l’approvazione definitiva.