In Medio Oriente le trattative tra palestinesi e israeliani sono congelate a causa della ripresa delle costruzioni dei coloni sui territori occupati.
Il problema non è di facile soluzione perché non si tratta di pochi coloni ma di circa cinquecentomila, che negli ultimi anni hanno coltivato la terra e hanno costruito, fissando abitudini e interessi. D’altra parte, si tratta anche di coloni fuggiti dalla Striscia di Gaza quando questa regione fu data ai palestinesi.
Da una parte, dunque, i coloni reclamano diritti di stabilità, dall’altra i palestinesi reclamano la loro terra e il diritto ad abitarla senza che nessuno gliela sottragga.
Ciò premesso, veniamo alla novità, rappresentata dall’intervista rilasciata da Salam Fayyad, premier palestinese (vedi foto), il quale ha dichiarato che i palestinesi sono “pronti a proclamare lo Stato”. “Nel mio ufficio – dice il premier palestinese – ho la foto di un ulivo. Ha duemila anni. È libero, solido. Ne trovi così a Gaza, a Gerusalemme, nella Valle del Giordano, nei villaggi, nei campi profughi. Ha radici profonde. Protegge le donne, i vecchi e i bambini. È il simbolo del nostro diritto a stare su questa terra. È per questo che i coloni ce l’hanno tanto coi nostri ulivi. In Palestina ce ne sono 15 milioni: non possiamo accettare che ne venga distrutto nemmeno uno. Il più giovane di questi ulivi ha radici più profonde del più grande insediamento israeliano”. Ecco, questa è la premessa per dire “Israele la smetta di considerare le risoluzioni Onu ‘mere raccomandazioni’: sono obblighi. Un anno in più è un inizio, ma queste colonie non devono più esserci. Punto. Sono illegali ovunque. Qui e a Gerusalemme”.
Il premier palestinese dichiara che “i coloni non sono pionieri senza terra”, dunque compiono l’indirizzo del governo israeliano che “permette che i coloni commettano atti di terrorismo”. Il premier lancia un ultimatum: “Celebrando i 66 anni dell’Onu, nel 2011, celebreremo anche la nascita di uno Stato palestinese (…) la prossima estate deve finire l’occupazione israeliana della Cisgiordania”. È il punto del maggior contrasto: se la trattativa non va avanti, potrà sbloccare la situazione una soluzione unilaterale? È un interrogativo e una sfida.
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