In Italia l’area dei moderati e dei liberali è vasta, ma è caratterizzata da leader che litigano solo tra di loro
Se il Pd è caratterizzato da due diverse linee politiche (Renzi e Bersani) e se sono ancora incerte le alleanze, che vengono annunciate e poi rimesse in discussione dopo qualche settimana (vedasi Vendola che scarica Di Pietro e poi firma con lui un referendum che non è ben visto da buona parte del Pd e che è rifiutato decisamente dall’alleato tanto sospirato di Bersani, l’Udc di Casini), lo spazio dei moderati – che teoricamente comprende buona parte del Pdl, l’Udc e una serie di partitini e movimenti, l’ultimo dei quali è Italia Futura di Montezemolo – è in subbuglio e, stringi stringi, in uno stato comatoso. I loro leader dicono fondamentalmente le stesse cose ma poi sono gli uni contro gli altri armati, tanto da far dubitare che i tanto ricercati moderati siano in grado di esprimere una politica programmaticamente e organizzativamente strutturata.
Prendiamo il Pdl, partito che dai sondaggi viene dato tra il 20 e il 22% ma che da una parte sta facendo registrare una fuga di esponenti importanti (ultima Stefania Prestigiacomo ma già prima Pisanu e vari altri sono convolati verso l’Udc), dall’altra è caratterizzato dal dubbio se gli ex An debbano o no restare nel Pdl o se ritornare a raggrupparsi in An per poi stringere un patto federativo con lo stesso Pdl. Già fare una scissione pilotata per poi stringere un patto è di per sé un giochetto che si spiega solo per incrementare un bottino elettorale. In definitiva, il Pdl, più che un partito con una linea definita è una galassia di una miriade di piccoli partiti tenuti in piedi da leader che hanno un seguito limitato (Giovanardi, Rotondi, Pionati) ma che non si differenziano tra di loro. Berlusconi riesce ancora, bene o male, a tenere insieme tutto il Pdl dimezzato rispetto al 2008, ma non riesce più a proporsi come la speranza dei moderati, sia perché ha già governato senza riuscire a realizzare un programma liberale, sia perché l’usura del tempo si fa sentire. D’altra parte, non è riuscito a trovare un valido leader a cui poter consegnare il testimone con successo. Alfano è competente e onesto., ma non ha il carisma del grande leader.
Nell’area moderata c’è l’Udc, che non riesce ad andare oltre il 5-6% e che, malgrado gli sforzi e le lusinghe, non riesce nemmeno a prendere i voti dell’elettorato del Pdl in crisi. Un motivo ci sarà: Casini non offre alternative rispetto a Berlusconi-Alfano, è percepito come concorrente, non come organizzatore ed erede dei moderati, non sfonda. D’altra parte, ha formato il terzo polo con Rutelli e Fini, ma esso è elettoralmente fallito e il primo a rendersene conto è stato lui stesso, che ha cominciato a guardare a Monti prima e a Monti bis adesso. L’idea, bisogna riconoscerlo, sta avendo successo, visto che Monti ha aperto ad un Monti bis. Se questa prospettiva si realizzerà, non sarà però certo per merito di Casini o per la sua forza elettorale, tanto è vero che Casini stesso guarda più al Pd – alleato comunque per lui problematico – che al centrodestra. L’altra formazione che si dichiara moderata e riformatrice è Fli di Gianfranco Fini che, uscito dal Pdl, convertitosi al centro dalla postazione di destra che presidiava da decenni, non va oltre un punto percentuale in termini di consenso. Fini sarà anche il dittatore di un piccolo partito, ma lo è di un partito minuscolo, di fatto marginale.
E passiamo a Italia Futura di Montezemolo, un leader “tentenna”: annuncia la sua entrata in politica, poi la smentisce; fonda un movimento e non si presenta mai alle elezioni, parla di un grande movimento riformatore e non ne vuole sapere di organizzarlo, ha salutato con entusiasmo l’eventuale Monti bis ma non vuole allearsi con Casini perché ritiene che “il rinnovamento non può passare attraverso personaggi vecchi” e impiccioni come De Mita, Buttiglione, Pomicino e soci. Ha anche detto che potrebbe allearsi con personaggi del Pdl e del Pd ma che un nuovo contenitore deve andare oltre, ma dove e come, è un mistero. Insomma, non si capisce cosa vuol fare. “L’Italia”, ha detto, “non ha bisogno dell’ennesimo partito personale, grande o piccolo che sia, e Italia Futura non è mai stata interessata ad esserlo. Serve un ampio movimento civico che si ponga l’obiettivo di dare rappresentanza a milioni di italiani che si sono riconosciuti almeno in parte nel percorso di Monti, che non credono nella retorica populista antieuropea della destra o ai neostatalismi di sinistra ”. Tutto bene, ma come? Montezemolo non lo dice. Precisato che l’approdo non è l’Udc e precisato che Italia Futura “non è interessata ad essere uno dei tanti partitini personali, non restano molte strade: o Monti guida questo movimento o qualcuno glielo organizza, ma ci vuole sempre il suo consenso. Se lo dà, allora ci sarà sicuramente la possibilità di rimescolare le carte, sparigliando i partiti già esistenti e ricomponendo l’elettorato moderato e liberale sotto un unico tetto, ma lo deve fare, quindi deve diventare un capo partito o un capo movimento. Cioè deve fare quello che nel 1994 fece Berlusconi, senza commettere gli errori di quest’ultimo.
Bene, dunque, un Monti bis, ma tutti questi leader piccoli e grandi, saranno in grado di cogliere questa opportunità o, invece, si sono “buttati” su Monti per sopravvivere e per poi fare quello che hanno sempre fatto in questi decenni, contribuendo in modo decisivo a “rovinare” l’Italia? La risposta a questa domanda non la possiamo dare noi, ma la capiremo nei prossimi mesi.