Minivocabolario di Paolo Tebaldi
Unione matrimoniale di un uomo con una sola donna. Si ha invece la bigamia allorché il maschio ha un rapporto continuo con due compagne. Se queste sono di più (come avviene soprattutto in diversi paesi arabi) abbiamo allora la poligamia. Invertendo i termini della relazione (più donne con un solo uomo) assistiamo al fenomeno non molto diffuso, almeno pubblicamente, della poliandria. Secondo il diritto canonico la monogomia è la condizione di chi si è sposato una sola volta e non ha contratto seconde nozze. In senso più esteso si può parlare di quei casi in cui si determina, anche al di fuori dei vincoli coniugali, la fedeltà assoluta di un individuo al proprio o alla propria partner. Ci riferiamo, per intenderci, all’amore eterno, un vincolo, certo, di grande suggestione e nobiltà, ma non facilmente raggiungibile. Infatti la società contemporanea del consumismo, della agevolezza e della facilità degli amplessi carnali mette oggi in crisi la devozione, il rispetto dei sentimenti, il coinvolgimento emotivo, l’esaltazione spirituale ed erotica per tutta la vita verso un’unica persona.
Il dibattito sulla parola in questione implica ragionamenti che hanno a che fare con la psicologia, la filosofia, la storia dei costumi, il diritto, la letteratura, la psicanalisi, l’antropologia strutturale, l’etnologia. Senza la pretesa di esaminare, anche per sommi capi, un così vasto insieme di scienze sociali, ci limitiamo a citare una considerazione di carattere generale esposta dalla celebre scrittrice Dacia Maraini: «L’uomo per natura è poligamo, come lo sono la maggioranza degli animali. Anche le donne per natura sono probabilmente molto più poliandriche di quanto si pensi. Eppure la civiltà ha scelto la monogamia proprio per difendere quella famiglia del tutto artificiale che si oppone, per ragioni morali, e quindi non naturali, allo sperpero e al caos. Insomma un poco più di prudenza nell’uso della parola natura perché può rivoltarsi contro chi la usa». E il noto studioso Umberto Galimberti afferma: «Il maschio, almeno nel suo immaginario, non è monogamico. Le sue fantasie poligamiche sono forse il retaggio culturale della pratica animale dove, salvo le eccezioni di alcune specie, la monogamia non esiste», Essa è, se ci fosse ancora bisogno di dimostrarlo, uno stato esistenziale sempre meno osservato e lo dimostrano inchieste, indagini, ricerche svolte sul «tradimento». Illuminante, più che umoristica, la barzelletta in cui l’insegnante chiede all’alunno: «Pierino, cosa è la monogamia?» e lui risponde: «E’ la monotonia». Per rafforzare l’impalcatura del traballante matrimonio indissolubile, fa sempre più strada la convinzione, non solo negli ambienti laici, ma anche in ampi strati del mondo cattolico, che l’adulterio non solo non sia un «peccato mortale», ma, al contrario, rappresenti un incentivo, uno stimolo a preservare l’unità all’interno delle mura domestiche. Claude Levi Strauss, nel suo celebre saggio «Le strutture elementari della parentela», sosteneva che il tabù dell’incesto permette il passaggio dallo stato di natura a quello di società umana. E che la proibizione dell’endogamia (l’usanza, cioé, che permette di contrarre matrimonio all’interno del proprio clan o casta) rafforza la funzione della famiglia come cardine della solidarietà sociale. Oggi questa funzione, finalizzata al rafforzamento del tessuto di una nazione, viene generalmente ammessa nonostante aumentino, in misura sempre più estesa, conflitti e disaccordi nella quotidianità della vita privata. Molti popoli del passato, erroneamente chiamati „primitivi“, non si ponevano questioni morali e sviluppavano liberamente relazioni sessuali non solo tra coppie, ma tra gruppi e più individui. La Bibbia ci racconta di numerosi patriarca il cui talamo era occupato da una quantità imprecisata di consorti. I semiti riservavano le unioni plurime alle élite al fine di favorire la procreazione di figli privilegiati e autorevoli. Un numero non indifferente di società africane e islamiche consente ancora oggi la poligamia. Che è stata e che viene praticata da gruppi etnici del Continente Nero, dell’India, dell’Oceania. Detto per inciso, chiariamo subito che l’harem musulmano è in ogni caso da condannare come il luogo dove le mogli vivono una condizione di sudditanza e di schiavitù. Nell’antichità maschi e femmine spesso conseguivano rapporti multipli con più partner, al fine di sconfiggere la mortalità e assicurare una adeguata riproduzione degli adulti. Nel XXI secolo, visto il progressivo invecchiamento della popolazione e un preoccupante processo di denatalità, qualche intraprendente pensatore o incallito libertino potrebbe esclamare: perché non fare lo stesso?