Due settimane per la riforma del lavoro ma il governo non si accontenta di un accordo non innovativo
Mario Monti ripete in ogni occasione – e non solo ha ragione di farlo ma corrisponde anche alla verità – che si è evitato il peggio ma che la crisi non è ancora superata e ripete anche che c’è una vasta fiducia che circonda il governo italiano a livello internazionale. D’altra parte, non si stancano di ripeterlo sia Angela Merkel che Nicolas Sarkozy e tutti gli altri maggiori leader dei Paesi più avanzati. La fiducia che circonda la persona di Monti, ex commissario europeo e professore di economia, si riflette sul governo e sull’Italia. Finanche l’Agenzia internazionale di rating Standard&Poors, dopo aver declassato l’Italia, ha detto che non era un giudizio su Monti, la cui azione governativa ha ”sorpreso” tutti in positivo, ma la fotografia economica unita al dubbio sulla possibilità che l’Italia cresca al punto da uscire dalla crisi. Francesco Giavazzi, in un fondo sul Corriere della Sera, ha riconosciuto questi meriti, ma ha anche detto che Monti deve sbrigarsi con le riforme, perché più passa il tempo e più le lobby approfittano del tempo per organizzare la loro offensiva contro la soppressione dei privilegi. Dopo aver sottolineato la positività della riforma delle pensioni, ha però scritto che le liberalizzazioni sarebbero state approvate entro la metà di gennaio e invece siamo a metà marzo e ancora non c’è il voto finale. Ha anche aggiunto che comunque il testo varato dal Cdm è stato talmente addolcito che è irriconoscibile. Insomma, la carica innovativa delle liberalizzazioni si è persa per strada. Monti ha detto che l’accordo sul mercato del lavoro sarebbe stato imminente. In ogni circostanza ha insistito sulla necessità che le parti sociali facciano un passo all’indietro rispetto alle loro legittime necessità ma ha anche aggiunto che se l’accordo non è un buon accordo, il governo tirerà per la sua strada. Lo stesso ha ribadito in più occasioni Elsa Fornerà, ministro del Welfare. A metà della settimana scorsa sui giornali i titoli parlavano ad una voce: l’accordo era imminente, pochi i dettagli formali da definire. E‘ passato appena qualche giorno e i sindacati hanno detto che l’accordo era ”lontano”, la Cgil non ha nascosto la sua contrarietà verso una qualsiasi modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e comunque ha detto, per bocca di Susanna Camusso, che sarebbe stato difficile per la Cgil apporre la firma su un accordo che prevedeva passi indietro rispetto alla protezione e alle garanzie ai lavoratori.
Insomma, se l’accordo non si farà su un testo di riforma vera e non finta, il governo è intenzionato a presentare un testo privo di accordo e a chiedere il voto di fiducia a Pdl, Udc e Pd. E‘ lo stesso ritornello di Emma Marcegaglia, che negli ultimi tempi, in prossimità dell’abbandono della carica di presidente di Confindustria, ha tirato fuori una grinta mai riscontrata prima e ha detto che o si farà un accordo valido oppure che se si tratta di una semplice ”manutenzione”, per dirla con Bersani, Confindustria non firmerà: ”meglio la situazione attuale di un cattivo accordo”. Monti deve tirare fuori le grinfie, altrimenti come è stato circondato da enorme fiducia, così la fiducia può anche perderla. A detta di autorevoli economisti, l’Italia ha fatto i compiti, ma la situazione non è rosea. Lo spread è tornato ai livelli di agosto 2011, ma ciò è dovuto più che altro alle aspettative del governo e della persona di Monti. Il fatto è che siamo in recessione tecnica che però può evolvere verso una recessione economica. E‘ a rischio, ad esempio, il pareggio di bilancio nel 2013, ma sono a rischio anche le speranze che l’Italia possa farcela, dato che la recessione da ottobre entrerà in una fase più acuta in seguito alla ormai data per certa crescita dell’iva al 23% (dal 21% al 23% quella maggiore) e al 12% (dal 10% al 12% quella minore). Non solo, altri indicatori economici non sono positivi: l’occupazione diminuisce, le imprese chiudono, il prezzo della benzina e del gasolio sta andando alle stelle. E‘ per questo che né il governo, né le imprese possono accontentarsi di un tagliando dell’articolo 18. Il concetto del governo non è se qualcosa possa essere lasciato cadere dell’articolo 18, ma se qualcosa possa restare. Solo un’ottima riforma del mercato del lavoro può evitargli di cominciare a perdere colpi e ad esercitare un ruolo poco incisivo. Alla lunga, al di là della fiducia e della considerazione personale, quello che conta sono le riforme vere che Monti sarà riuscito a fare e che incideranno sull’economia e su una svolta reale tra le forze politiche.