Mario Monti ha sempre detto che il suo incarico era a termine, fino alla fine della legislatura (aprile 2013), e ogni volta che gli è stata ripetuta la richiesta, ha sempre opposto un secco no. La settimana scorsa, dopo il discorso alle Nazioni Unite e dopo l’incontro con Obama, pressato per l’ennesima volta, il premier, pur ribadendo quanto finora aveva detto, ha aperto uno spiraglio. In sostanza, accetterebbe solo per stato di necessità e solo con un’ampia maggioranza. Quanto basta per riaprire e scompigliare i giochetti della politica italiana.
Le domande, a questo punto, sono essenzialmente due: perché Monti si è mostrato possibilista? Che cosa gli ha fatto cambiare idea? Che cosa gli ha fatto prendere in considerazione un “Monti bis”? E l’altra domanda: sarà davvero possibile, anche per Monti, succedere a se stesso dopo le elezioni politiche? E’evidente che su Monti ci sono state pressioni importanti: Napolitano, Merkel, Obama. I leader degli altri Paesi dell’Ue hanno tutto l’interesse ad avere un’Italia solida e affidabile e la prima ad avere quest’interesse è l’Italia stessa. Monti, agli occhi della comunità internazionale, ne è il garante più autorevole. Niente ingessatura alla presidenza della Repubblica, dunque; per lui ancora la presidenza del Consiglio. I leader europei e mondiali non si fidano dei politici italiani, di destra come di sinistra e di centro. La corruzione diffusa e capillare ha fatto il resto. Tutti temono che dalle elezioni politiche, qualunque partito o coalizione le vinca, l’Italia possa precipitare di nuovo nell’instabilità e nel tirare a campare, con leggi che annullano le riforme già fatte da Monti e con un comportamento irresponsabile di in fatto di uso ed abuso delle risorse pubbliche.
Ed ora la risposta alla seconda questione: riuscirà un tecnico di alto livello a sostituirsi alla politica, condizionandola e, di fatto, rendendola inutile, come più o meno inutili sarebbero le elezioni? Sarebbe facile, ovviamente, se tutti fossero d’accordo a sostenerlo – visto che comunque non si presenterà alle elezioni in quanto già senatore a vita – e a considerare la prossima legislatura un prolungamento dell’”agenda Monti” già iniziata, con l’impegno a considerarla “costituente” con un patto di lunga durata per dotare l’Italia di quelle riforme costituzionali e istituzionali di cui ha estremo bisogno.
A giudicare dai primi commenti, però, facile non è. Il possibilismo di Monti ha spiazzato il Pd e in particolare Bersani, che ha dichiarato che in caso di vittoria porterebbe avanti “l’agenda Monti” integrandola con il lavoro e la giustizia, sapendo bene che una coalizione con Pd, Vendola e Casini (con o senza Di Pietro) sarebbe condannata all’inconcludenza. Chiusura totale ad un Monti bis, dunque, da parte del Pd, che ha il sogno di cogliere un successo, anche se poi votato ad un fallimento più o meno breve. Casini, ovviamente, si è mostrato entusiasta, perché Monti sarebbe la sua àncora di salvezza: da solo Casini non andrebbe oltre il 5-7%; insieme al Pd, dichiarando prima l’alleanza, prenderebbe anche meno, dunque, dietro Monti Casini si terrebbe a galla. Quanto al centrodestra, con il Pdl da solo o scisso tra Forza Italia e An, non scenderebbe sotto il 22% ma diventerebbe comunque una forza buona solo per fare la minoranza. Per il Pdl vale il discorso fatto per l’Udc. Ipotizzare Mario Monti come capo partito è fuori luogo, non è nella sua indole. Resterebbe l’ipotesi delineata da Montezemolo: un cartello di uomini e partiti moderati, liberali e riformisti che chiederebbero il voto agli italiani per un Monti bis. Troppo bello per essere vero: i tantissimi piccoli e meno piccoli leader delle numerose minuscole formazioni politiche si farebbero piuttosto ammazzare che fare un passo indietro, seppure per il bene dell’Italia, ma saremmo contenti di essere smentiti.