Le elezioni saranno anticipate probabilmente di un paio di mesi, il 10 febbraio, in seguito al ritiro della fiducia al governo da parte del Pdl
Di fronte al ritiro della fiducia al governo Monti dichiarata ufficialmente in Parlamento dal segretario del Pdl, Angelino Alfano, seppure accompagnata dalla “responsabilità” nel votare la legge sulla Stabilità (legge finanziaria), Mario Monti ha aspettato un giorno e quando i mercati finanziari erano chiusi ha presentato al capo dello Stato le sue dimissioni che saranno date un minuto dopo l’approvazione della legge, cioè prima di Natale. La motivazione del premier, accettata dal capo dello Stato, è che non ha nessuna voglia di fare il bersaglio di una campagna elettorale già iniziata. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, dal canto suo, ha dichiarato che non intende subire la campagna elettorale iniziata da Berlusconi ed ha chiesto anche lui che le elezioni siano anticipate il più possibile. Probabilmente esse si terranno il 10 febbraio, giusto i tempi tecnici necessari dopo lo scioglimento delle Camere da parte del presidente della Repubblica.
Inutile dire che Bersani, Casini, Fini ed altri, la Cei compresa, hanno accusato il Pdl e Berlusconi di “irresponsabilità” e di voler riportare l’Italia nel baratro finanziario, ed è inutile dire che Alfano ha parlato di “atteggiamento responsabile del Pdl” in quanto il suo partito voterà la legge di Stabilità e perché si tratta di un anticipo della fine della legislatura di uno o al massimo due mesi. Lo scontro è iniziato, con Berlusconi che dice che l’Italia è già nel baratro della disoccupazione, della recessione e delle tasse aumentate, e con Bersani, Casini e Fini che rincarano la dose dicendo che l’Italia aveva appena riconquistato quella credibilità internazionale che ora la candidatura di Berlusconi spazzerà via.
La realtà è che il Pdl e Berlusconi sono usciti dall’angolo in cui si erano essi stessi cacciati dopo tanti mesi di indecisioni e di contrasti interni, anche per il rifiuto di Casini di ricomporre il mosaico dei moderati, ma la mossa di Monti di dimettersi subito e di non esporre il governo e la sua persona agli attacchi del Pdl ha sicuramente neutralizzato l’iniziativa di Berlusconi e di Alfano.
Mario Monti, con le dimissioni annunciate appena sarà stata approvata la legge di Stabilità, ha aggiunto un piccolo ma significativo commento. “Ora”, ha detto il premier, “sarò più libero di pensare al mio futuro”. Avrà voluto dire che accetterà di entrare in politica e di essere ufficialmente candidato premier della lista per l’Italia (Montezemolo, Casini, Fini)? E’ difficile dirlo adesso, probabilmente Monti dirà cosa vuol fare dopo la presentazione delle dimissioni ufficiali prima di Natale. Per ora, possiamo solo immaginare alcuni scenari dando per scontato che Berlusconi – che sicuramente ricucirà l’alleanza con la Lega di Maroni pagando magari lo scotto di una candidatura leghista alla Regione Lombardia – è sceso di nuovo in campo unicamente per ottenere una sconfitta onorevole del Pdl in luogo di una disfatta dalla quale l’area del centrodestra non si sarebbe mai più ripresa.
Primo scenario: riusciranno Casini e Montezemolo – pare che quest’ultimo non voglia accettare nella lista Gianfranco Fini sia per la sua compromissione nell’affare casa di Montecarlo, sia perché la presenza di Fini ricompatterebbe nel Pdl i parlamentari a disagio – riusciranno dunque Casini e Montezemolo a convincere Monti ad essere il loro candidato premier? Se ci riusciranno, si profilerebbe una sfida a tre (Berlusconi, Monti Bersani), con il primo perdente in partenza e dunque fuori gioco, ma anche con Monti sconfitto da Bersani che può contare su un Pd rivitalizzato e con una macchina da guerra elettorale senza pari. Siccome, però, la legge elettorale non sarà cambiata, la coalizione di centrosinistra godrebbe del premio di maggioranza che la porterebbe al 55% dei seggi parlamentari alla Camera, quindi Bersani teoricamente potrebbe fare a meno di un centro superfluo, ma nella pratica gli converrebbe comunque fare un’alleanza per allargare ulteriormente la maggioranza già assoluta. Il rischio sarebbe la riproposizione di fatto di un’altra Unione di prodiana memoria, con tutti gl’inconvenienti del caso (tale sarebbe una coalizione con Pd, Psi, Sel, lista per l’Italia di Casini, Fini e Montezemolo).
Secondo scenario. Casini, Montezemolo e Fini presenterebbero un candidato premier (Monti o un altro) ma farebbero un accordo politico-elettorale con Bersani prima delle elezioni, con Bersani premier, Monti presidente della Repubblica e Casini ministro degli Esteri. Probabilmente dalla coalizione di centrosinistra uscirebbe Vendola, ma con il vantaggio che il Pd prenderebbe il premio di maggioranza, a cui poi si aggiungerebbero i voti del centro. Insomma, un’alleanza organica di sinistra più centro. Sarebbe un governo più compatto, solido e sicuramente incisivo. L’unico inconveniente sarebbe che un’alleanza prima delle elezioni esporrebbe il centro alle critiche del centrodestra e allontanerebbe dal centro stesso una fascia di ex An ora Fli che non se la sentirebbero di essere al governo insieme al Pd.
Terzo scenario. Ipotesi della irrealtà: ad arrivare primo il Movimento 5 Stelle di Grillo. Alle elezioni in Sicilia Grillo si è confermato il primo partito con il 18%, ma per diventare il partito-coalizione più votato dovrebbe oltrepassare il 35%. Un’ipotesi irreale, appunto.