I risultati ufficiali delle elezioni in Afghanistan si conosceranno a metà settembre, ma, indipendentemente da chi vincerà, i problemi da affrontare saranno enormi. Certo, se a vincere dovesse essere Abdullah Abdullah, cioè uno dei capi dell’attuale opposizione, un impegno più serrato contro la corruzione dilagante nella pubblica amministrazione sarebbe garantito, ma da qui ad arrivare ad un Afghanistan diverso ce ne correrà, per almeno un decennio.
La guerra è iniziata cinque anni fa, ma di progressi ne sono stati compiuti pochi. Se si eccettua il fatto, più simbolico che reale, delle avvenute elezioni, il resto è deserto. Corruzione diffusa, dunque, ma anche paura e miseria sono i tratti caratteristici di questo Paese che, in seguito all’offensiva dei talebani da una parte e a massacri più o meno fortuiti di civili dall’altra da parte dei militari alleati, comincia a sviluppare, tra una consistente fascia di popolazione, una certa rabbia contro gli stranieri occupanti. Insomma, la domanda che anche gli alleati cominciano a porsi è: vale la pena di continuare a morire per Kabul senza ottenere risultati apprezzabili? I capi della diplomazia dell’Ue hanno deciso di organizzare una conferenza internazionale nella capitale afgana per aumentare le pressioni sul nuovo governo locale contro la corruzione e il clima di insicurezza che fanno sì che gli ingenti sforzi degli alleati per la ricostruzione, la stabilizzazione e la pacificazione di quel Paese siano vanificati, ma è evidente che il vecchio Vietnam per gli americani e il vecchio Afghanistan per i sovietici comincia a diventare un incubo.
Dopo cinque anni il potere dei talebani è stato scalfito e in certi casi anche gravemente ferito, ma esso non è debellato e il tempo non è certo a favore della coalizione dell’Onu.
L’Ue e gli Stati Uniti sono consapevoli che bisogna “dare un segnale” e che questo segnale vuol dire investire sullo sviluppo economico del Paese, ma questa sembra essere più una dichiarazione d’intenti che un risultato a portata di mano, anche perché per lo sviluppo economico si richiedono tempi lunghissimi e grande dispiegamento di risorse.
ferma restando la via appena indicata, un’altra sarebbe aumentare mezzi e uomini per controllare il territorio e mettere sotto scacco i talebani, ma i governi degli alleati vorrebbero che ad aumentare l’impegno fossero sempre e solo gli altri. Dunque, complice la crisi economica, anche questa via è più dichiarata che praticata. Se le cose stanno così, ci si avvia ad una guerra di posizione dagli esiti lunghi ed incerti. L’esperienza, però, insegna che i Paesi occidentali, in assenza di risultati evidenti, tra dubbi e ripensamenti, prima o poi abbandonano il campo. Se ciò dovesse verificarsi, sarebbe una iattura per tutti, afgani ed occidentali.
✗[email protected]
Articolo precedente
Prossimo articolo
Ti potrebbe interessare anche...
- Commenti
- Commenti su facebook