Susanna Tamaro, a proposito del terremoto ad Haiti, sul Corriere della Sera ha scritto che “le catastrofi naturali ci parlano, ci ricordano che siamo esseri insignificanti, formiche che passeggiano sul dorso di un gigante. La morte è sotto i nostri piedi, può colpire ovunque (…) non conosce distinzioni di Paesi e di popoli, non separa il giusto dall’ingiusto, il malato dal sano, il bambino dall’anziano, passa con la sua falce e distrugge ogni vita con selvaggia cecità”.
Di fronte a catastrofi di tal genere si rischia la retorica, però non è possibile non ricordare che se è vero che “queste tragedie fanno scattare improvvise gare di solidarietà”, facendo emergere dalle profondità del nostro essere il nostro lato migliore, è vero anche che l’uomo potrebbe limitare di molto i lutti provocati dalla furia della natura e spesso non lo fa perché accanto alle gare di solidarietà ci sono gare di egoismo.
Giustamente è stato notato, come lo fu in Abruzzo il 5 aprile del 2009 e in seguito a tutti gli altri casi simili in Italia e all’estero, che se il terremoto fosse accaduto in Giappone, probabilmente avrebbe procurato danni limitati o insignificanti. Invece ad Haiti, il crollo delle case e dei palazzi ha prodotto montagne di polvere, che è la prova che l’uomo e la sua capacità d’imbroglio causano più vittime di quante ne potrebbero fare tanti rabbiosi ruggiti della natura messi insieme.
L’imponente gara di solidarietà messa in piedi dagli Usa, dall’Europa e dai singoli Paesi del mondo, però, non basta. Si è verificato, a vari giorni dal terremoto, che all’aeroporto di Port-au-Prince gli aiuti alimentari erano in grande quantità ma la gente non è riuscita ad usufruirne; è successo che la confusione e la disorganizzazione hanno impedito il salvataggio di tante persone rimaste sotto le macerie; è accaduto semplicemente che lo Stato e le istituzioni si sono volatilizzate.
È fin troppo facile, dicevamo, fare retorica e infatti la finiamo qui. Però le tragedie devono evitare che altre tragedie si ripetano, se non altro perché è noto che ci sono numerosissime zone del pianeta soggette a terremoti. E allora forse sarebbe il caso di creare in ogni Paese a rischio, e in collaborazione con esso, una task force dell’Onu contro le calamità naturali, in grado di organizzare e coordinare con tempestività e competenza soccorsi e aiuti, ma anche e soprattutto di costituire una sorta di organismo soprannazionale di vigilanza sul rispetto delle regole e dei criteri di costruzione di case, palazzi, ponti e dighe e opere di questo genere. Insomma, una specie di Protezione Civile dell’Onu là dove, evidentemente, non esiste, perché non tutti i Paesi sono in grado di permetterselo. Sogni? Può darsi. Però le esperienze nazionali dei Paesi sviluppati dimostrano, Giappone in testa, che se non è possibile impedire i terremoti, non è impossibile limitarne le conseguenze disastrose. La corsa agli aiuti va bene, ma ancor meglio è attrezzarsi e aiutare ad attrezzarsi prima che le catastrofi sopraggiungano.
Non è facile, ci vorranno decenni, risorse e mezzi enormi, ma è l’unica via per evitare di arrivare sempre dopo e male.
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