La Russia si adopera per un’iniziativa di pace ma consegna missili supersonici a Damasco e rafforza la sua presenza navale a Tartus per bloccare eventuali altri blitz militari
Grande movimento attorno alla Siria in questi ultimi giorni. L’incontro della settimana scorsa tra il Segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha portato all’intesa che entro la fine di maggio ci sarà una conferenza internazionale di pace sulla Siria, ma ciò non ha impedito alla Russia di rifornire Damasco di sofisticati missili supersonici antinave Yakhont. La notizia, insieme a quella dell’invio di una decina di navi da guerra russe nei pressi della sua base navale di Tartus, in Siria, è stata vista come un sostegno non solo politico ma anche militare della Russia alla Siria in caso di conflitto.
La Casa Bianca da parecchio tempo – e ultimamente in modo particolare – di fronte all’uso delle armi chimiche in Siria, ha mantenuto due posizioni. La prima è che se fosse dimostrato davvero il loro uso, la “linea rossa” sarebbe stata oltrepassata, dunque intervento militare. Gli Usa, però, in questo caso, non vorrebbero intervenire direttamente, ma attraverso altri soggetti della comunità internazionale, tipo la Francia e la Gran Bretagna. L’Onu non può intervenire perché la Russia e la Cina hanno messo il veto ad un intervento militare. La seconda posizione è la prudenza, perché non è affatto dimostrato che le armi chimiche siano state usate dal regime. Carla Dal Ponte sostiene che tutte le indagini finora condotte hanno portato agli insorti, tra i quali i gruppi islamici estremisti e terroristici sono molto attivi e numerosi. In sostanza, Obama, a parte la proposta di una conferenza di pace, non sa cosa fare per sbloccare la situazione.
La Russia, d’altra parte, non vuole affatto una nuova Libia, cioè un Paese in preda ad attentati, alle vendette di massa e al caos. Eliminato Gheddafi, la Libia si trova in una situazione di gran lunga peggiore, sia in termini di insicurezza, di miseria, sia in termini economici. Insomma, la Libia è un territorio percorso da bande armate che si ammazzano tra di loro e che non offrono nessun speranza alla popolazione sfinita. Ecco, la Russia non vuole una nuova Libia. Putin sa bene che se ci dovesse essere un intervento militare in Siria, la famiglia Assad sarebbe dispersa o distrutta, ma nessuna possibilità di pacificazione potrebbe esserci tra le tribù siriane politiche e soprattutto religiose. Non lo potrà mai permettere, anche perché sarebbe come offrire ai suoi avversari e competitori economici internazionali vantaggi enormi, dovendo rinunciare ai suoi interessi.
Alla Russia andrebbe bene favorire un processo di pacificazione con la rinuncia da parte di Assad a contare in Siria, ma senza stravolgere gli equilibri del potere. In parole più chiare: bene se Assad si facesse da parte e se il governo fosse assicurato dagli uomini dell’attuale regime e da uomini espressione delle opposizioni democratiche (ammesso che ve ne siano), ma nessun altro stravolgimento. E’ per questo che la Russia ha detto sì alla proposta di una conferenza internazionale di pace, ma al termine di ogni via vai a Mosca (Kerry, Cameron, Netanyahu) ha precisato che la Conferenza va organizzata sotto l’egida dell’Onu, a cui dovranno partecipare rappresentanti del governo e delle opposizioni (esclusi gli estremisti) e anche l’Iran e i Paesi della regione e che, infine, per arrivare alla pace nessuno debba mettere delle preclusioni inaccettabili per l’altro. L’ultimo, in ordine di tempo, a giungere alla capitale russa è stato Ban Ki-moon, colui che dovrebbe farsi carico dell’organizzazione e delle garanzie della Conferenza.
Tutto questo, evidentemente, non ha impedito alla Russia di stare in guardia. Ecco perché mentre si adopera per l’iniziativa internazionale di pace ha venduto armi a Damasco e ha rafforzato la presenza militare navale a Tartus. Sta, insomma, usando il doppio binario pace-deterrente militare nel caso in cui qualche testa calda dovesse far scoppiare la scintilla. Il riferimento è ai raid di Israele che è già intervenuto varie volte, con la scusa di impedire a Hezbollah libanese di rifornirsi di armi.
Ecco la dichiarazione di Sergei Lavrov: “Non capisco perché i media trasformino in notizia sensazionale la consegna di armi difensive russe a Damasco”, aggiungendo che tali forniture sono state effettuate in base a contratti firmati senza violare gli accordi internazionali.
Aggiungiamo che finora la guerra civile ha causato 100 mila morti da due anni e mezzo a questa parte, un milione e mezzo di profughi e centinaia di migliaia di feriti.