In settimana è esplosa la questione della bocciatura delle liste del Pdl nel Lazio prima e poi in Lombardia, che ha attirato tutta l’attenzione ed ha provocato una polemica politica d’insolita asprezza.
I fatti li abbiamo accennati. Domenica 28 febbraio la lista del Pdl del Lazio non è stata presentata in tempo e viene esclusa. Il giorno dopo la Corte d’Appello di Milano esclude la lista di Formigoni per un certo numero di firme ritenute non valide. Passano alcune ore e anche la lista della candidata alla Regione Lazio, Renata Polverini, viene esclusa per una firma. Scoppia il finimondo.
Nel Lazio il presentatore della lista si trovava regolarmente in tribunale già tre quarti d’ora prima della scadenza, poi, lasciati in aula i documenti, esce con la lista per mangiare un panino e quando rientra viene ostacolato da un gruppo di radicali e tra spintoni e strattonature riesce ad entrare solo tre minuti dopo, per cui la lista non viene accettata perché presentata con ritardo. Il caso di Milano e del listino di Polverini è diverso, nel senso che i candidati vengono esclusi perché le firme vengono considerate incomplete.
Le opposizioni esultano e gridano al rispetto delle regole, la maggioranza grida anch’essa al rispetto delle regole e accusa la Corte d’Appello di due pesi e due misure. Quasi una settimana dopo un decreto legge del governo, che non cambia il regolamento, ma lo interpreta – decreto legge firmato da Napolitano che appunto dice che per la democrazia non si può escludere la lista del partito di maggioranza e che esso è, appunto, interpretativo e non innovativo – le liste sono riammesse, ma le polemiche si fanno ancora più aspre con la richiesta di “impeachment” del Presidente della Repubblica da parte di Di Pietro, richiesta criticata dal Pd di Bersani, che tuttavia è favorevole ad una pubblica manifestazione.
La realtà è che le regole sono state calpestate da tutti, in primo luogo da quelli che le hanno invocate. Il presentatore della lista non accettata nel Lazio è stato ostacolato fisicamente da un gruppo di radicali. La Corte d’Appello di Milano aveva escluso un certo numero di firme del listino Formigoni perché i dati erano incompleti ma aveva accettato le firme di altre liste ancora più incomplete. Un esempio: è stata rifiutata la firma pro Formigoni autenticata in località “Mariano C.Se”, che sta per “Mariano Comense” e invece è stata accettata quella pro Pd autenticata a “C.M.” che sta per Cassano Magnago.
Ancora: a Milano la Corte d’Appello ha permesso ai radicali di spulciare i documenti degli avversari senza che questi ultimi fossero presenti, cosa che ha a che fare con il codice penale. I casi di due pesi e due misure riguardano tante firme e attengono al codice penale. Non è un caso che Berlusconi ha poi dichiarato che è stato “ridato” il diritto agli eslusi.
In ogni caso il Tar (Tribunale amministrativo) ha riammesso le liste in Lombardia a prescindere dal decreto legge del governo (al momento in cui scriviamo non possiamo sapere della sentenza del Lazio).
Insomma, l’impressione è che si sia trattato di un grosso polverone provocato ad arte dai radicali che ad ogni elezione, per farsi pubblicità, sfruttano tutti i mezzi, anche quelli poco ortodossi.
Da registrare anche che all’inizio della settimana scorsa il Consiglio dei ministri, dopo le limature dei giorni precedenti, ha approvato il disegno di legge contro la corruzione. Quattro sono i capitoli che formano la legge. In estrema sintesi (l’argomento sarà trattato anche in altre pagine del giornale), sotto il primo che si potrebbe intitolare “aumenti di pena” vanno gli inasprimenti delle pene per i reati contro la Pubblica amministrazione (corruzione, concussione, peculato, eccetera) compreso tra la metà e un terzo, fino ad un incremento massimo di sei anni.
È stata introdotta anche un’aggravante specifica, che inasprisce le pene fino ad un terzo nei confronti del pubblico ufficiale infedele.
Il secondo capitolo riguarda le “liste pulite”, che prevede la non candidabilità a qualsiasi carica, nazionale o locale, del presidente della regione che sia stato rimosso per aver compiuto “atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge”. Ineleggibilità alle cariche di deputato e senatore per coloro che sono stati condannati a 5 anni in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione (stessi reati).
Il terzo capitolo concerne il “piano nazionale anticorruzione” coordinato dal Dipartimento della Funzione Pubblica. Ciascuna amministrazione dovrà mettere per iscritto il grado di esposizione al rischio corruzione dei propri uffici. Brunetta avrà molto da fare.
L’ultimo capitolo, “Enti locali”, prevede numerosi controlli sulla gestione e qualità dei servizi. Più trasparenza per appalti pubblici, concorsi, progressioni in carriera, eccetera.
Il provvedimento ha soddisfatto tutta la maggioranza e non è avversato dalle opposizioni. Ora deve essere discusso in Parlamento ed è aperto al contributo di tutte le forze politiche. È anche una risposta ai casi giudiziari degli ultimi tempi.