Io governo ottiene la fiducia e Letta parla di “maggioranza politica” e di maggioranza numerica”
Dunque, la partita governo ha dei vincitori e degli sconfitti. Ha vinto Giorgio Napolitano, che ha laconicamente commentato: “Sfida vinta con fermezza”. Il presidente è colui che, all’indomani delle lettere di dimissioni da parlamentari di tutti (o quasi) i deputati e senatori e soprattutto delle successive dimissioni dei cinque ministri Pdl, aveva notato, dal tono, dall’atteggiamento e dalle reazioni dei ministri stessi, una possibile frattura e aveva lavorato su quest’ipotesi. Il resto l’hanno fatto loro e in primo luogo Alfano, che con un gruppo di deputati e senatori ha preso le distanze dai falchi e da Berlusconi (“Mai più con il coltello alla gola”). Napolitano è stato il regista di tutta l’operazione “chiarimento in Parlamento” ma ha trovato in Letta un abile esecutore di tutta la linea per i suoi rapporti con Alfano e con i cinque ministri Pdl e con buona parte dei fuoriusciti. Non bisogna dimenticare che ad eccezione, forse, di Quagliariello, liberale, gli altri ministri provengono quasi tutti dalla Dc, come Letta, ad eccezione di Sacconi, Cicchitto e Colucci, ex socialisti. L’altro vincitore, dunque, è il premier Letta, che si è rivelato uno degli uomini del futuro della politica italiana. Napolitano e Letta hanno operato il miracolo della prospettiva di stabilità almeno fino al 2015, fino, cioè, alla fine del mandato di Letta come presidente di turno del Consiglio d’Europa (primo luglio-fine dicembre 2014). La stabilità è garantita dalla svolta che c’è stata: il governo si regge su una maggioranza politica (Alfano e il suo gruppo) e una maggioranza numerica che comprende tutto il Pdl che si riconosce ancora in Berlusconi (due terzi, almeno finora). Essendo la maggioranza politica autosufficiente a prescindere dalla maggioranza numerica, le conseguenze sono che al Pdl di stretta osservanza berlusconiana è stato tolta ogni velleità di “gioco al massacro” secondo l’espressione del presidente della Repubblica.
Ha perso Berlusconi. Votando a sorpresa la fiducia che voleva negare, ha salvato la parte maggioritaria del Pdl-Forza Italia, ma non ne ha impedito né la fuoriuscita dei “migliori”, né le capacità di movimento. Berlusconi ha giocato d’azzardo e gli è andata male. Da ora in poi potrà parlare (fino a quando glielo consentiranno le conseguenze della sua condanna) ma non potrà condizionare il governo e le sue scelte. La dimensione della sconfitta sta nella scelta che non ha fatto. Se avesse accettato di sostenere il governo e di accettare i domiciliari o il servizio sociale, per un anno o quasi se ne sarebbe stato zitto, poi probabilmente avrebbe ripreso la piena agibilità politica. Così, invece, ha perso la capacità di condizionamento e la guida del centrodestra e in più sarà dichiarato decaduto da senatore e dovrà fare comunque o i domiciliari o il servizio sociale e per giunta dovrà stare zitto. Con il voto di fiducia a sorpresa ha comunque evitato il disastro per il centrodestra. In ogni caso, sarebbe potuto uscire di scena quasi a testa alta e invece dovrà farlo con la mestizia della sconfitta.
Ha perso anche Epifani, perché aveva detto no ai “transfughi” e invece i transfughi sono entrati a pieno titolo nella maggioranza, anche se sganciati politicamente da Berlusconi. A giustificazione di Epifani c’è che è un “traghettatore” verso il congresso, anche se comunque non ha rivelato doti di leader. Ma a questo punto non è possibile non considerare ciò che Letta ha ipotecato sul suo futuro e su quello del Pd.
La vittoria di Letta ha ancora altri significati che hanno a che vedere da una parte con le future alleanze e con il sistema politico del Paese, dall’altra con le mire di Renzi sul Pd e sul governo.
Il sindaco di Firenze aveva un piano chiaro e preciso: andare al Congresso, diventare Segretario del Pd, dare al partito una nuova carica e, approfittando di un casus belli del centrodestra, far cadere Letta e andare alle elezioni per vincerle e diventare presidente del consiglio sostenuto da un Pd a vocazione maggioritaria. Ora, questo piano è saltato o, almeno, rinviato di un paio di anni, se non tramontato del tutto. Vediamo perché. Letta, con l’operazione fiducia e con il gruppo Alfano, si è lanciato nel futuro della politica italiana. Come? Con una prospettiva centrista. L’ha notato Ugo Sposetti, più Ds che Pd, quando ha detto che al banco del governo c’erano solo DC. L’alleanza Pd-centristi (gruppo Alfano-Monti-Casini) potrebbe, con la riforma elettorale in senso proporzionale abbandonando il bipolarismo, essere la prospettiva futura. Non per nulla, coloro che sono rimasti delusi non sono solo Renzi ma anche Bersani e la sinistra, per i quali il bipolarismo vale sempre. Il più deluso di come sono andate le cose è Paolo Gentiloni, renziano doc, che ha dichiarato: “Noi saremo custodi severi e inflessibili delle cose che ha detto (Letta, ndr). Coloro che nel Pd erano contro Renzi (Rosi Bindi) e con un’identità a sinistra, come Bersani, ora si stanno avvicinando a Renzi perché da questi si sentono garantiti nella prospettiva bipolare. Renzi, che già si sente e parla da Segratario, ha dovuto ingoiare, ma è vigile, appunto. Ha detto: “Ma è normale che io come segretario avanzi le nostre proposte al governo. E poi lo solleciterò quando riterrò che debba fare di più, perché c’è bisogno di cambiamento e su quel fronte non c’è ancora il coraggio sufficiente”. Chi gongola, invece, è Fioroni, sostenitore dell’opa centrista.
Per adesso godiamoci la stabilità ritrovata.