Il presidente della Repubblica affida l’incarico a Enrico Letta per un governo politico autorevole e condiviso
Già prima della rielezione, Giorgio Napolitano aveva avvertito i partiti dicendo in sostanza che lui, per senso di responsabilità, si era sacrificato accettando il secondo mandato, e che i partiti, a loro volta avrebbero dovuto mostrare lo stesso senso di responsabilità nei confronti del Paese. L’avvertimento, all’inizio, per l’ennesima volta, non è stato ascoltato. Nel Pd c’è stato chi, come Barca, ha stigmatizzato la scelta di convincere Napolitano ad accettare un secondo mandato ed ha detto ufficialmente di aver votato Rodotà, candidato di Grillo e successivamente di Vendola, che con questa scelta ha rotto l’alleanza di centrosinistra. Nel Pd coloro che non hanno votato Napolitano sono stati 50 o poco meno, un gruppo abbastanza numeroso che ha fatto subito pensare ad una fronda che potrebbe in un prossimo futuro cercare l’accordo con Sel e una parte dei grillini. Insomma, si è costituito l’embrione di quello che tutti dicono che sarà un nuovo partito capitanato da Fabrizio Barca e che riproporrà, magari sotto altro nome, le forze che si riconoscono nell’ex Pci (Rifondazione comunista, sinistra Pd, Sel e la parte dei grillini delusi dal Pd e che per questo hanno aderito al M5S.
Il mal di pancia è poi riemerso quando lo stesso Napolitano ha detto chiaramente che o si andava verso un governo di larghe intese o lui ne avrebbe tratto le conseguenze mettendo i partiti (in questo caso alludendo in particolare al Pd) di fronte alle sue responsabilità davanti al Paese. Insomma, Napolitano non ci stava per nulla a formare un governo di minoranza che in Parlamento avrebbe dovuto cercarsi la maggioranza volta per volta senza avere la possibilità di abbozzare un minimo di programma credibile. Dunque, ha detto il capo dello Stato, o un governo di larghe intese o gravi conseguenze. La perentorietà ha avuto il suo effetto, per cui nel Pd Bersani ha presentato in maniera ufficiale e irrevocabile le sue dimissioni, di fatto aprendo la fase congressuale e consegnando il Pd, si dice, nelle mani di Renzi, che l’ha detto pubblicamente in un’intervista sulla stampa. La fase precongressuale è ancora tutta da preparare, con le dimissioni in massa della segreteria. A traghettare il partito verso il congresso molti pensavano che sarebbe stato Enrico Letta, ma questa ipotesi, come si sa, è poi stata superata dagli avvenimenti. E’ probabile che sarà Stefano Fassina, ministro mancato ed esponente dell’ala Ds del Pd e che al congresso in autunno ci saranno delle mozioni, una delle quali sarà rappresentata da Renzi che sicuramente avrà la maggioranza e si appresterà a guidarlo, magari, come detto, perdendo la parte che si riconoscerà nelle posizioni politiche e ideologiche di Fabrizio Barca. Ma questo è un discorso che per adesso non c’interessa in quanto non ancora attuale.
Accettata, di fatto, la necessità di un governo di larghe intese, la parte scettica del Pd, quella che sosteneva la linea di Bersani (governo di minoranza con sostegno esterno di parte dei grillini), erano in molti nel Pd a sostenere un governo il più possibile con un profilo non caratterizzato politicamente, una specie di governo tecnico del presidente Napolitano con un presidente del Consiglio anch’egli sotto tono. Rosi Binti, a questo proposito, quando sono venuti fuori i nomi di Amato e Letta, ha subito dichiarato che il vice segretario del Pd, per quanto dimissionario, era un esponente di primo piano e come tale non avrebbe dovuto accettare. Meglio un democratico senza incarichi di partito come Amato, ha fatto capire Binti, che Letta. Insomma, le larghe intese sono state accettate più per stato di necessità che per convinzione, anche perché le larghe intese volevano significare il riconoscimento del ruolo di Berlusconi, il nemico di sempre che ora stava per diventare un alleato.
La scelta di Amato era voluta da Napolitano e da Berlusconi ma era avversata dalla Lega che aveva messo il veto su Amato e su Monti: l’uno, perché nel 1993 aveva prelevato nottetempo il 6 per mille su tutti i conti correnti e i libretti di risparmio per sanare i conti per entrare nell’euro, l’altro per i disastri prodotti nei bilanci delle famiglie italiane con le tasse eccessive. Una parte del Pd era per Amato, proprio perché garantiva un profilo defilato politicamente.
Insomma, si stava profilando una situazione kafkiana: il Pd in quanto primo (“ma non vincitore”) aveva aspirato giustamente all’incarico di premier e non ci era riuscito; ora che Napolitano gli voleva dare un incarico politico, in molti erano freddi e preferivano uno del Pd come Amato ma di fatto estraneo nel suo stesso partito.
Nel Pdl Berlusconi insisteva per un governo politico ed autorevole, il solo che potesse legittimarlo agli occhi dell’elettorato democratico, altrimenti niente accordo. Anche Napolitano era per un governo politico e si sa che Napolitano non è solo un presidente notaio ma anche un presidente con prerogative politiche, dunque, l’ha spuntata lui: governo politico e incarico a Enrico Letta, uomo non “divisivo”, come si dice adesso, giovane (46 anni), autorevole e competente, accettato da tutti e tre i partiti alleati. Un uomo, Enrico Letta, a cui lo stesso Pd, almeno a larga maggioranza, non poteva dire di no. Il resto riguarda la nascita del nuovo governo, quello che inaugura, garante Napolitano, la terza Repubblica, si spera migliore, molto migliore della prima e della seconda.