Ha detto di sé: “Non mettetemi su un piedistallo: non sono un santo, a meno che voi non consideriate santo un peccatore che continua a provarci”
Rolihlahla Nelson Mandela, conosciuto in Sudafrica come Madiba, il nome del suo clan, è morto a 95 anni. Tre mesi fa, ricoverato in ospedale, stava male, tanto che molti pensavano che non ce l’avrebbe fatta. E’ sopravvissuto, ma di poco, e in uno stato di semicoscienza, fino a giovedì notte della settimana scorsa.
Chi era Nelson Mandela ce lo ha detto lui stesso con dei giudizi che rimarranno nella Storia. In un suo discorso in tribunale, alla vigilia della sua condanna all’ergastolo per aver fondato “La lancia della Nazione”, l’ala militare dell’Anc (African National Congress), disse: “Nella mia vita mi sono battuto contro la dominazione bianca, e mi sono battuto contro la dominazione nera. Ho creduto nell’ideale di una società democratica e libera, in cui tutti vivano insieme in armonia e con uguali opportunità. E’ un ideale a cui spero di dedicare la vita. Ma se necessario è un ideale per cui sono pronto a morire”. In prigione passerà complessivamente 27 anni. Il suo nome è legato alla lotta contro l’apartheid, cioè il no ai matrimoni misti e la segregazione razziale, ma non è solo uno che ha lottato contro, è uno che ha lottato a favore. Quando uscirà di prigione, l’11 febbraio 1990, dirà: “I bianchi sono nostri concittadini, chi rifiuta l’apartheid sarà accolto nella lotta comune per la democrazia”.
Aveva cominciato la sua militanza nell’Anc con la protesta, non solo verbale, anche violenta, contro le cose, non contro le persone, ma ben presto la ripudia in nome della democrazia e dell’ideale umano. Quando Clinton gli domandò se non fosse uscito di prigione con la rabbia in corpo, Nelson Mandela rispose: “Certo. Ma se fossi rimasto con l’ira addosso, allora avrebbero vinto i miei carcerieri: il mio corpo sarebbe uscito, la mia mente sarebbe rimasta prigioniera”.
Mandela nacque nel 1918 in una capanna a Mvezo, tra le colline del Trenskei, oggi Eastern Cape. Il primo nome era Rolihlahla, che significa “colui che spezza i rami”. Il suo primo insegnante lo ribattezzerà Nelson. Morto il padre, a nove anni la madre lo porta nel villaggio vicino, dove il capo è Jongintaba, che lo manda a studiare. Il capo del villaggio, però, organizza un matrimonio combinato, che non piace a Nelson, che se ne va a Johannesburg pagandosi il viaggio vendendo due mucche di proprietà del capo del villaggio. Si laurea in Legge per corrispondenza nel 1943, quando conobbe Evelyn, che sposa nel 1944. Sperimenta in quel periodo sulla sua pelle l’apartheid, allora in pieno vigore sotto il governo dei bianchi, minoritari in Sudafrica. Apre uno studio legale con Oliver Tambo e diventa capo dei giovani Anc. Fu arrestato per la prima volta nel 1956 ma rimase in prigione solo due settimane, il tempo necessario ad Evelyn di sloggiare di casa, stanca dell’impegno politico e soprattutto dei tradimenti di Nelson. Conosce Winnie, che diverrà la sua seconda moglie, ma, in seguito alle proteste per il massacro di
Sharpeville viene imprigionato per cinque mesi. Siamo nel 1960. Fu allora che, dopo l’uscita di prigione, entra in clandestinità e fonda la Lancia della Nazione, già citata, che raggruppa tanti giovani dediti al sabotaggio dell’ordine costituito del governo dei bianchi. Va precisato che si tratta di sabotaggi contro cose non contro persone. Nel 1962 fu arrestato, nel 1964 fu condannato all’ergastolo, che sconta a Robben Island. A Nelson Mandela viene dato il numero 466/64, tatuato sul suo braccio. In prigione è costretto a spaccare pietre, lavori che gli rovinano gli occhi e i polmoni. Rifiuta la libertà offertagli dal presidente Botha in cambio dell’autoesilio nel suo villaggio. Dirà: “Solo gli uomini liberi possono negoziare: la mia libertà e la vostra non possono essere separate. I will return”. Fu liberato l’11 febbraio 1990, acclamato come eroe dal suo popolo.
Finalmente libero, si separa da Winnie, che l’ha tradito con un avvocato, ma tende la mano al presidente de Clerk nel comune ideale di superare l’apartheid. Insieme, nel 1993, sono insigniti del Premio Nobel per la Pace, e mai premio fu più meritato. Dice ai suoi: “Niente vendette, siamo una forza disciplinata per la pace”. Ban Ki-moon, appresa la morte di Nelson Mandela, ha dichiarato: “Non ha voluto vendetta ma ha parlato di riconciliazione”. In effetti, ecco la frase che ne guida i pensieri e le azioni: “Per essere liberi non basta sciogliersi dalle proprie catene: occorre vivere rispettando e nutrendo la libertà degli altri”.
Il 27 aprile 1994 viene eletto presidente del Sudafrica: lo resterà per cinque anni. Nel 1999 sposa Graça, che gli resterà accanto fino all’ultimo, e lascia la politica. Passerà gli ultimi anni prima della malattia a Qunu, dove passò gli anni della sua infanzia.
Il presidente Zuma, annunciando la morte di Mandela, ha detto: La sua anima riposi in pace. Dio benedica l’Africa”. Toni Morrison, Premio Nobel per la Letteratura nel 1993, ha scritto: “Non esiste autore americano – bianco, nero o di un’altra razza – che non sia stato influenzato dal suo mito. Mandela è, con Martin lther King e Gandhi, uno dei pochissimi leader che sono riusciti ad abbattere ogni barriera di razza, colore e religione facendoci apparire tutti uguali di fronte alla sofferenza e ai trionfi della vita. L’era che ci ha dato il buio – Mussolini, Hitler, Stalin – ci ha regalato anche la luce: Mandela”.