Il dibattito fiume al Nazionale ha fatto slittare il voto sull’iniziativa dei sindacati
La sinistra, Partito Socialista e Verdi, è rimasta sola a lottare per un sì all’iniziativa popolare dell’Unione sindacale svizzera (USS). Il testo chiede l’impegno in favore della promozione di salari minimi nelle convenzioni collettive di lavoro e dove non fosse possibile, l’introduzione di uno stipendio minimo di 22 franchi l’ora, pari a una remunerazione mensile di 4’000 franchi per una settimana lavorativa di 42 ore. I partiti borghesi di centro e centrodestra si sono schierati compatti contro l’iniziativa, così come il Consiglio federale e il Consiglio degli Stati. Le differenze tra i due blocchi saranno difficilmente colmabili e ciò fa presagire, che il Nazionale respingerà probabilmente l’iniziativa.
La sinistra ritiene l’iniziativa, un mezzo adeguato per la lotta a salari troppo bassi e al dumping salariale. “Il salario minimo nazionale dovrebbe permettere, a chi lavora a tempo pieno, di potere vivere del proprio salario, senza dovere ricorrere agli aiuti sociali. In questi casi è spesso lo Stato a dover porre rimedio”, è l’argomento principale dei sostenitori dell’iniziativa. In Svizzera più di 300.000 dipendenti, circa il 10%, guadagnano meno di 4.000. La maggior parte sono donne che dispongono di un certificato di capacità professionale. I salari bassi si riscontrano nei settori del turismo, del commercio al dettaglio, nell’agricoltura e nell’edilizia. Un sistema economico con salari che non bastano per vivere, non è un modello di successo ed è inaccettabile soprattutto per un paese ricco come la Svizzera, che si può permettere salari minimi equi. Nel suo intervento Corrado Pardini (PS) ha fatto leva sul fatto che “solo il 50% dei dipendenti è coperto da un contratto collettivo (CCL) e l’altra metà di conseguenza non è protetta da un salario collettivo regolato”. Inoltre i CCL sono in calo, perché molti imprenditori si rifiutano di sedersi al tavolo delle trattative.
Invece per gli avversari dell’iniziativa, il partenariato sociale è un sistema che funziona. Alla sinistra rimproverano di volere attizzare “la lotta di classe” e di delegare il compito di fissare i salari allo Stato, invece di continuare con il loro ruolo a negoziare i salari. La maggioranza borghese vede molti rischi per l’economia svizzera e in alcuni interventi ha risollevato gli argomenti usati in campagna contro l’iniziativa “1:12”, bocciata il 24 novembre dall’elettorato. Sia per i salari alti sia per quelli bassi, un’ingerenza dello Stato nella politica salariale delle imprese è inappropriata e dannosa per l’economia, che non potrebbe muoversi secondo le sue regole. Il “modello svizzero” del mercato liberale del lavoro funziona bene e non deve essere attaccato da iniziative sindacali controproducenti. Questo modello permette alla Svizzera di avere un tasso di disoccupazione basso e un livello salariale elevato nel confronto internazionale. L’iniziativa lo metterebbe in difficoltà e diminuirebbe la competitività rispetto alla concorrenza straniera. Inoltre per compensare l’innalzamento dei salari minimi, la gran parte dei salari sarebbe livellata verso il basso.
Nelle giornate di mercoledì e giovedì scorso, più di 70 deputati si erano iscritti per prendere la parola. Otto ore non sono bastate ai deputati per decidere l’indicazione di voto ai cittadini e il presidente della Camera, Ruedi Lustenberger, è stato costretto a interrompere il dibattito per motivi di tempo, impedendo l’intervento del ministro dell’economia, Johann Schneider-Ammann. La ripresa del dibatto e la votazione sono state rinviate alle prossime settimane. L’elettorato non potrà esprimersi prima di maggio 2014 e al contrario del Parlamento, secondo un sondaggio, condotto dall’istituto Link, l’iniziativa raccoglierebbe il consenso del 76% degli svizzeri.