Dopo l’alto là di Alfano a Casini e a Bersani su Rai e le polemiche seguite alle dichiarazioni del ministro Riccardi
A Bruxelles Berlusconi, una decina di giorni fa, esaltando pubblicamente la preparazione, la cultura, e l’età giovane di Alfano, aveva espresso, in privato, il dubbio che però gli mancasse un ”quid”, cioè la capacità di bucare lo schermo, come si dice in gergo mediatico, la personatità che fa di un uomo un leader. Le cronache raccontano da una parte che Berlusconi abbia smentito il dubbio – ma si sa che le smentite sono una doppia ammissione di quel che si smentisce – dall’altra che se Alfano c’è rimasto male, lo ha tenuto ben nascosto, rinnovando la stima nei confronti del ”presidente Berlusconi”. E‘ evidente, però, che il dubbio di Berlusconi doveva aver colpito nel segno e doveva essere anche il cruccio di Alfano stesso, che deve essersene ricordato qualche giorno dopo, quando ha fatto saltare il vertice Alfano-Casini-Bersani con il presidente del Consiglio che l’aveva convocato sulla Rai e sulla giustizia. Perché Alfano ha fatto saltare il vertice, esponendo il Pdl, già in fase di debolezza, alle critiche degli altri partiti e la sua stessa persona alle accuse di essere nervoso? Casini, infatti, l’ha subito accusato di ”colpo di sole”, e Bersani ha subito precisato che il governo è titolato a discutere di qualsiasi argomento, cosa che aveva messo in dubbio Alfano rifiutando il vertice in cui si parlava di Rai e di giustizia. Ebbene, dunque, come si spiega l’alto là di Alfano? In realtà Alfano ha stoppato una manovrina messa in atto da Casini (ricordate la definizione di Cossiga? Pierfurby) e da Bersani. Il primo non perde occasione per mettere in difficoltà il Pdl per attrarre voti dal Pdl all’Udc, il secondo facendosi portavoce del superamento della legge Gasparri sulla Tv e chiedendo le dimissioni dell’attuale consiglio di amministrzione. In realtà, sia Casini che Bersani hanno tentato solo di dettare l’agenda politica costringendo Alfano ad andare a rimorchio, ma sia l’uno che l’altro della giustizia non vogliono approvare una riforma globale ma solo quello che fa loro comodo dal punto di vista mediatico e quindi elettorale (decreto anti corruzione).
Quanto alle dimissioni del consiglio di amministrazione della Rai, Bersani si è ben guardato dal criticare l’invadenza dei partiti nella Rai e di chiedere una Rai senza partiti, anche perché se c’è un partito che la occupa stabilmente, questi è proprio il Pd, al punto che con qualsiasi maggioranza Rai tre appartiene sempre al Pd e nessuno può metterci il naso. Alfano avrebbe avuto torto se avesse rifiutato di discutere della riforma della giustizia (decreto anti corruzione ma anche processo breve e separazione delle carriere) e se si fosse trattato di una vera riforma della Rai, ma così non era. Dunque, con l’alto là al vertice ha voluto dire agli altri e al governo che il Pdl è sempre maggioranza al Senato e che i giochini non sono ammessi. L’ha capito Monti che ha chiesto: allora è crisi di governo? E Alfano ha detto di no, ha aggiunto semplicemente che i giochini li lascia agli altri. Monti l’ha capito e ha detto che gli incontri avverranno bilateralmente. Se Casini e Bersani pensavano di averlo messo nel sacco, devono ricredersi. Alfano ha anche colto l’occasione per acquisire una quota di…quid. L’altra quota l’ha acquistata qualche giorno dopo, quando i giornalisti parlamentari hanno captato delle frasi del ministro Riccardi che ha detto che ”era schifato da una certa politica”, riferendosi ad Alfano. Riccardi non ha smentito, ma ha chiesto scusa e quando 46 senatori del Pdl hanno annunciato una lettera di sfiducia personale contro il ministro, Alfano ha spruzzato acqua sul fuoco, avvertendo che la responsabilità non è una qualità che si può chiedere solo agli altri. Polemiche superate, dunque, ma ne è uscito rafforzato come leader, come ne è uscito bene quando, alcuni giorni prima, ha preso atto della volontà della Lega di rompere l’alleanza con il Pdl e lui ha confermato la rottura, aggiungendo che la posizione di ambiguità non gli appartiene, e che il gesto era tanto più da apprezzare in quanto alle prossime elezioni amministrative sarebbe andato con la rottura con la Lega e senza aver prima stabilito una nuova alleanza con l’Udc, ad esempio, oggetto di una campagna di seduzione da parte del Pdl al quale finora Casini non ha chiuso ma non ha neanche aperto, evidentemente perché vuole avere le mani libere e perseguire la classica politica dei due forni. Chi ne esce male da tutte queste vicende politiche – che comunque rendono i partiti tutti più deboli e inaffidabili perché tale è la classe politica italiana – sono la Lega, che non ha appoggiato il governo Monti per un pugno i voti in più che ora sta disperdendo sulla questione del presidente del Consiglio regionale, inquisito; l’Udc di Casini, che non sfonda, perché c’è un Fli al 2%, l’Api di Rutelli nell’occhio del ciclone per le accuse a Lusi, ex tesoriere della Margherita che, secondo le accuse, avrebbe sottratto 13 milioni di euro dalle casse del partito; e il Pd stesso, perché Lusi era un senatore del Pd e perché si annunciano polemiche nel centrosinistra proprio a causa delle sue dichiarazioni, a dire il vero carpite da un video nascosto, secondo cui il centrosinitra avrebbe avuto tutto da perdere dalla sua vicenda e nulla da guadagnare.