Il problema di indossare o meno il burqa islamico è al centro di un dibattito che si discute da tempo in Svizzera. Un sondaggio realizzato dall’istituto Marketagent.com Suisse ha rivelato che la maggior parte della popolazione svizzera interrogata sull’argomento si dichiara favorevole al divieto di indossare il burqa in territorio elvetico.Conosciamo tutti il valore religioso e sociale che viene dato a questo indumento in Afghanistan e, in generale, in ambiente islamico.
Ma sappiamo anche che questa veste, che per la popolazione afgana rappresenta la normalità così come una gonna o una semplice camicia per noi occidentali, non ha lo stesso valore per tutte le altre popolazioni. Anzi, la sua conformazione, il fatto che celi i volti lasciando intravedere solamente gli occhi (e a volte neanche quelli) ha da sempre suscitato diverse polemiche.
In modo particolare, sotto accusa è il fatto che portare il burqa, sia quello che ricopre solamente la testa lasciando una fessura per gli occhi sia quello detto “completo”, o “afgano”, che ricopre la donna dalla testa ai piedi, comporta diversi problemi di ordine pubblico poiché riduce chiaramente l’individuabilità di chi lo indossa. Non solo: si fa spesso appello all’aspetto di “sottomissione” della donna musulmana, costretta da assurde imposizioni religiose e maschiliste a doversi celare dietro questo paramento. Così salta fuori la visione del burqa non come abito tradizionale e religioso ma come simbolo dell’oppressione dell’uomo sulla donna perché in realtà la religione c’entra poco!
Nel Corano, infatti, l’imposizione riguarda solamente il velo e non il burqa. La tradizione risale agli inizi del ‘900 quando Habibullah impose alle 200 donne del suo harem di indossare il burqa per non indurre in tentazione gli altri uomini.
Presto questa imposizione si diffuse come usanza fino a che in tutto l’Afghanistan si stabilì il divieto assoluto per le donne di mostrare il volto in pubblico.
Tale usanza, che si fa forte dei precetti religiosi, è stata poi estesa anche alle donne islamiche che vivono al di fuori dei confini afgani, fondamentalmente per il timore di una sempre maggiore occidentalizzazione della donna. In Svizzera, da qualche tempo, ci si è interessati al problema in maniera più approfondita. Nel mese scorso è stato il leader del movimento politico ticinese il “Guastafeste”, Giorgio Ghiringhelli, a sollevare la questione in maniera più chiassosa parlando di “prevenzione contro l’islamizzazione”. È datata, infatti, 30 aprile la petizione al Gran Consiglio del Canton Ticino per l’introduzione del divieto – ad eccezione del periodo di carnevale – di indossare negli spazi pubblici e nei luoghi privati aperti al pubblico (bar, ristoranti, negozi, centri commerciali ecc.) degli indumenti che nascondano totalmente o parzialmente il volto, con esplicito riferimento ad indumenti importati in Europa dai fondamentalisti islamici, come ad esempio il burqa (che nasconde interamente il volto) ed il niqab (che lascia scoperti solo gli occhi), i quali negano la dignità della donna e sono la faccia visibile dell’offensiva dell’Islam contro la laicità e l’uguaglianza fra uomo e donna.
Tale petizione riguarda al momento solo il Ticino perché, come afferma lo stesso leader del movimento politico, a livello nazionale non si intravedono concrete possibilità per l’introduzione di un divieto del genere. Il Consiglio Federale, infatti, sostiene che si tratti di un “falso” problema perché le donne che indossano il velo in Svizzera sono ancora solo un centinaio. Per Ghiringhelli questo non è un motivo sufficiente per sottovalutare il fenomeno. “Basta guardare a cosa avviene in tutti i Paesi toccati dall’islamizzazione per rendersi conto che prima o poi il fenomeno tende a diffondersi”, sostiene il leader de Il Guastafeste.
L’argomento ha interessato anche il consigliere nazionale Oskar Freysinger, dell’Unione Democratica di Centro, che ha a sua volta avanzato una proposta al Consiglio Federale di vietare l’occultamento del viso, basandosi sulla legge federale per la salvaguardia della sicurezza interna. La mozione è stata però respinta perché, secondo il Consiglio, l’applicazione del divieto non rientra nelle disposizioni federali e la legge menzionata non si rivolge ai singoli individui.
La popolazione svizzera è stata interrogata sull’argomento. Il sondaggio realizzato da Marketagent.com Suisse ha riguardato un campione di 500 cittadini romandi e svizzerotedeschi di età compresa tra i 13 e i 59 anni. Il 57,6% si è dichiarato favorevole al divieto del burqa in territorio elvetico. I contrari sono il 26,5% mentre rimangono indecisi sulla questione solo il 15,9%. “Ciò dimostra che si arriverà presto o tardi a una votazione popolare sulla questione”, ha dichiarato il consigliere nazionale Oskar Freysinger.
E.B.